Fede e paura

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Il SIGNORE parla dall’eternità rivolgendosi a noi che siamo nel tempo, in modo che, ascoltando la sua parola, possiamo anche  noi entrare a far parte della sua realtà eterna. Difatti Gesù, riferendosi al Salmo 82, ha ricordato che, secondo le Scritture, coloro a cui è rivolta la parola di Dio,  seppure mortali, sono figli di Dio, sono cioè essi stessi Dio (Giovanni 10:35). Perché, com’è scritto all’inizio del Vangelo di Giovanni, la parola, che è Dio, è rivolta a Dio (πρὸς τὸν θεόν). Chi ascolta la parola è quindi chiamato a partecipare a una realtà che non cambia, perché è divina e contiene in sé  la forma di ogni cambiamento (della parola è infatti scritto che “ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” Giovanni, 1:3). E di Gesù, la parola di Dio, è anche detto che rimane “sempre lo stesso, ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8).

Cambiamenti

Noi però cambiamo. Anzi, se vogliamo entrare nel regno dei cieli, dobbiamo cambiare  (Matteo 18:3). Dobbiamo cambiare, certo (altrimenti periremo tutti; Luca, 13:4), ma non nella direzione in cui scivoliamo inarrestabilmente per il semplice fatto che siamo nel tempo e siamo perciò soggetti ai cambiamenti (esteriori e interiori) che ci portano verso la morte. L’invito che ci rivolge l’eterna parola di Dio è ad ascoltare ciò che ci viene detto dall’eternità per cambiare nella direzione giusta, cambiando, cioè, innanzitutto direzione di marcia e, anziché progredire nella conoscenza del potere della morte, sforzarsi di conoscere la vita e la potenza della resurrezione che sono in Dio.

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In principio, la parola. Quarto giorno

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Genesi 1:14 Poi Dio disse: «Vi siano delle luci nella distesa dei cieli per separare il giorno dalla notte; siano dei segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni;
15 facciano luce nella distesa dei cieli per illuminare la terra». E così fu.
16 Dio fece le due grandi luci: la luce maggiore per presiedere al giorno e la luce minore per presiedere alla notte; e fece pure le stelle.
17 Dio le mise nella distesa dei cieli per illuminare la terra,
18 per presiedere al giorno e alla notte e separare la luce dalle tenebre. Dio vide che questo era buono.
19 Fu sera, poi fu mattina: quarto giorno.

Poi Dio disse:
Continua l’articolazione – logica, più che cronologica – della creazione attraverso la parola. Che nella creazione la cronologia sia un effetto piuttosto che una causa si farà particolarmente evidente in questo quarto giorno, perché è solo dopo che Dio ha fatto il Sole, la Luna e gli altri corpi celesti che si può propriamente parlare di giorni, mesi, stagioni e anni. Continue reading →

In principio, la parola. Terzo giorno

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Genesi 1:9 Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così fu.
10 Dio chiamò l’asciutto «terra», e chiamò la raccolta delle acque «mari». Dio vide che questo era buono.
11 Poi Dio disse: «Produca la terra della vegetazione, delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto avente in sé la propria semenza, sulla terra». E così fu.
12 La terra produsse della vegetazione, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie e degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie. Dio vide che questo era buono.
13 Fu sera, poi fu mattina: terzo giorno.

Poi Dio disse
Di nuovo, Dio parla e, attraverso la sua parola, aggiunge ordine a ordine. Qui, come per altro ogni volta che si riferisce alla creazione, il verbo usato (‘amar אָמַר) è l’equivalente del nostro dire. Più che sull’azione di parlare, l’accento è messo su ciò che viene detto, l’ordine dato, il compito da realizzare. In modo che si possa poi dire: “e così fu”.

Le acque che sono sotto il cielo
Iddio ha appena chiamato “la distesa” (raqya’ רָקִיעַ, termine che. come abbiamo visto, si può tradurre anche firmamento, spazio) “cielo” (Genesi, 1:8). Adesso, parlando delle “acque che sono [da] sotto il cielo” (hammayim mitakhat hashamayim הַמַּיִם מִתַּחַת הַשָּׁמַיִם), sta perciò parlando di tutte le acque che sono sotto il firmamento. Non solo delle acque che sono già scese al suolo sotto forma di pioggia, ma anche di quelle che devono ancora scendere, ma che si trovano comunque sotto il firmamento (anche se, sotto forma di vapore, stanno temporaneamente sopra le nostre teste; ma certe volte, per esempio in montagna, possono trovarsi anche sotto di noi).

Dopo aver accennato alle acque che sono sopra il cielo, la Scrittura ci parla ora solo di quelle che sono di sotto, perché abbiamo visto che tra quelle acque e le acque della creazione che sono sotto i nostri occhi, Dio ha messo i cieli come separazione.
Da qui in poi, la parola si concentra sulle cose che stanno sotto i cieli, ma non perché ci dimentichiamo di quelle che sono di sopra. Dobbiamo anzi orientare la nostra mente verso l’alto (come è scritto in Colossesi, 3:1), perché le cose di quaggiù devono diventare come quelle di sopra, affinché la volontà di Colui che ha fatto dei cieli il suo trono possa essere fatta quaggiù come è fatta là sopra (Matteo, 6:10) e anche noi uomini, come fanno le creature celesti, lodiamo il Signore e lo ringraziamo per tutte le cose, secondo quella che è la sua espressa volontà per coloro che sono in Cristo (1Tessalonicesi, 5:18).

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Non fatevi tesori sulla terra…

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Per spiegare perché non dobbiamo farci tesori sulla terra, Gesù, nel lungo discorso che – all’inizio della sua predicazione – ha tenuto ai discepoli raccolti in cima a un monte, aggiunge le seguenti relative: “… dove il tarlo e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano.” (Matteo, 6:19).

Queste parole ci mostrano la terra per quello che è: un posto dove non c’è nulla che sia veramente sicuro per noi. In qualche misura, possiamo pensare che lo sapevamo già. Infatti, anche se a volte ci culliamo nell’idea che esistano dei “beni rifugio”, bastano le immagini di un terremoto o di qualche catastrofe ecologica, o ancora il ricordo di qualche crisi finanziaria, perché ci possiamo rendere abbastanza bene conto del fatto che sulla terra non c’è proprio niente che possa essere economicamente del tutto sicuro. Ma, come vedremo meglio tra poco considerando il consiglio positivo del Signore di farci dei tesori in cielo, è chiaro che Gesù non ci parla solo delle cose che si vedono, soprattutto non ce ne parla solo in vista di quelle stesse cose. Non ci dice solo di spostare i nostri investimenti dalla terra al cielo: la terra e il cielo non possono contenere lo stesso tipo di cose. Sono quindi le cose stesse a cui diamo importanza che devono cambiare, se veramente vogliamo essere discepoli di Cristo.

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La scelta del Re

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Dio ci rivolge la sua parola perché anche noi ci rivolgiamo a Lui e non guardiamo più il futuro con gli occhi del passato, ma semmai impariamo a guardare alle cose che sono successe attraverso la parola profetica (“una lampada che splende in luogo oscuro”, come è descritta in 2Pietro, 1:19), che ci insegna a vivere in vista di quelle “che devono avvenire tra breve” (Apocalisse, 1:1). Infatti, le cose che sono successe nel passato sono accadute e sono state scritte nella Bibbia per nostro ammaestramento (1Corinzi, 10:11), cioè perché non viviamo e non facciamo più le nostre scelte basandoci su quello che la carne ha provato e può provare ancora, ma seguiamo piuttosto il desiderio dello spirito, in quanto la parola di Dio ci dà una nuova speranza e un nuovo desiderio che vengono da un futuro completamente diverso dal nostro passato e dalle aspettative che ne possiamo derivare: “Non ricordate più le cose passate, non considerate più le cose antiche: Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa” (Isaia, 43:18-19).
Saul e Davide, i primi due re di Israele, rappresentano due opposti atteggiamenti di fronte alla parola di Dio e alla vita. Saul è il tipo del re chiesto dagli uomini per ottenere potenza davanti agli uomini (1Samuele, capp. 8 e 9) e infatti esprime l’atteggiamento dell’uomo naturale che si lascia guidare da quello che vede e che sente, obbedendo così solo parzialmente alla parola di Dio. Davide invece è il tipo del re scelto dal Signore, che “si è cercato un uomo secondo il suo cuore” (1Samuele, 13:14), un uomo che, a sua volta, cerca il regno di Dio.

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In principio, la parola. Secondo giorno

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Genesi 1:6 Poi Dio disse: «vi sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle acque».
7 Dio fece la distesa e separò le acque che erano sotto la distesa dalle acque che erano sopra la distesa. E così fu.
8 Dio chiamò la distesa «cielo». Fu sera, poi fu mattina: secondo giorno.

 

Poi Dio disse

In realtà, il testo originale non dice “poi”, ma semplicemente “e”. Anche se il ve ebraico ha un senso più ricco del nostro “e”, non ha per questo la connotazione decisamente temporale del nostro poi. Ci dice che stiamo seguendo l’articolazione dei giorni della creazione: alla luce del giorno che abbiamo appena visto si aggiunge la luce che stiamo per vedere. La luce, cioè la chiarezza che viene dalla parola di Dio.

vi sia una distesa

Dio attraverso la sua parola mette ordine nella sua creazione. Come aveva detto “sia luce”, così ora dice “[vi] sia [una] distesa”. Come vedremo tra breve, anche questa volta il suo scopo è separare, distinguere, fare chiarezza.

Il termine ebraico che traduciamo con distesa (raqiy’a רָקִיעַ) viene da una radice che significa “pestare” (per esempio, i piedi). Distesa indica perciò un’estensione dotata di una certa solidità. Probabilmente per questo le traduzioni più antiche usano la parola firmamento, che fa pensare a qualcosa di fermo, fisso. La traduzione migliore sarebbe proprio il termine spazio, nella sua accezione moderna, quella che usiamo in espressioni come conquista dello spazio o spazio interstellare.

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1. I cieli dei cieli

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“I cieli dei cieli” (shmey ha-shamayim שְׁמֵי הַשָּׁמַיִם) è un’espressione che appare varie volte nella Sacre Scritture ebraiche.  “Ecco, al SIGNORE tuo Dio appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e tutto ciò che essa contiene…” (Deuteronomio, 10:14). “Tu, tu solo sei il SIGNORE! Tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutto il loro esercito, la terra e tutto ciò che è sopra di essa, i mari e tutto ciò che è in essi, e tu fai vivere tutte queste cose, e l’esercito dei cieli ti adora.” (Nehemia, 9:6). Anche Salomone, il giorno dell’inaugurazione del Tempio di Gerusalemme ha nominato i cieli e i cieli dei celi (dicendo che pur nella loro immensità non possono contenere il SIGNORE, tanto meno lo avrebbe potuto fare la casa che gli aveva costruita! 1Re, 8:27). Continue reading →

Recuperare il tempo perduto. Seconda parte

 

Tempo per l’eternità

È scritto nei Salmi: “Lo stolto ha detto in cuor suo: Non c’è Dio” (Salmi, 14:1). Davide qui non parla di quelli che si dichiarano atei, ma di quelli che vivono come atei, anche se magari non si professano tali. Chi dice in cuor suo che Dio non esiste lo dice perché vive e vuole vivere badando solo a quello che si può conoscere attraverso i sensi, e che, essendo nel tempo, deve necessariamente passare (2Corinzi, 4:18). Il che, in qualche misura, capita a tutti quanti.

Anche se pensiamo che Dio non esista, riflettendoci un attimo dovremmo però renderci conto del fatto che il tempo passa rispetto a qualcuno e a qualcosa che rimane. Noi stessi, intanto (o meglio, la nostra coscienza). Ma pure noi cambiamo e, del resto, l’orizzonte del nostro sapere è assai limitato. Per questo, dovremo dirci che faremmo bene ad ascoltare una parola che procede dai tempi antichi e che continua ad avere senso e a parlare delle cose che ci avvengono oggi (2Pietro, 1:19), e che ci viene rivolta appunto perché ci ridimensioniamo alla nostra reale posizione nello spazio e nel tempo. Continue reading →

Recuperare il tempo perduto. Prima parte

Guadagnare tempo

Scrive Paolo ai credenti di Efeso: “State quindi molto attenti a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; recuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di  capire bene quale sia la volontà del Signore. Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza” (Efesini, 5:15-18). Qui – e in Colossesi 4:5 (“Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo”) – l’apostolo usa un’espressione idiomatica che appare una volta anche nella versione greca delle Sacre Scritture ebraiche (la Versione dei Settanta, nota anche come Septuaginta, che è stata realizzata in epoca ellenistica). L’espressione viene usata per rendere le parole del re Nabucodonosor ai maghi e ai sapienti di corte, ai quali aveva ordinato di fornirgli non solo l’interpretazione di un sogno che aveva fatto, ma anche il sogno stesso, che non aveva rivelato a nessuno di loro (e che Daniele gli racconterà e gli interpreterà per rivelazione divina). Siccome i maghi, terrorizzati dalla minaccia di morte, avevano chiesto che per favore il re li mettesse in condizioni di fornire l’interpretazione raccontando loro il suo sogno, “il re replicò e disse: Io mi accorgo che voi volete guadagnare tempo, perché avete sentito la decisione che ho preso” (Daniele, 2:8). Continue reading →

Terza parola: non profanare il nome del SIGNORE

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Esodo, 20:7 Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

La preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli (Matteo 6:9-13 e Luca 11:2-4) comincia con la richiesta che il nome del Padre sia santificato. Questa richiesta in qualche modo riassume tutte e tre le prime parole del Decalogo che abbiamo letto fin qui.


Abbiamo già parlato (e ci torneremo ancora) di come i Dieci comandamenti vengano ripresi dalla preghiera che chiamiamo il Padre nostro, perché, come abbiamo visto, questa trasformazione esprime molto bene il senso del compimento (o perfezione, in greco i due termini si equivalgono) della Legge da parte di Gesù. Secondo quanto promesso nel passo del profeta Geremia che abbiamo gia citato (“ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni, dice il SIGNORE: io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo”, Geremia, 31:33), la Legge è stata scritta nei nostri cuori e, da Cristo in poi, siamo noi stessi che chiediamo a Dio che sia adempiuto ciò che, prima, attraverso Mosè, Israele aveva ricevuto l’ordine di fare.

Torniamo ora al comandamento di non profanare il nome del SIGNORE.

Il nome è la parte del discorso che aggancia il verbo a un soggetto o a un oggetto, qualcosa di più o meno stabile e complesso che viene comunque considerato nella sua permanenza. I nomi comuni si riferiscono a una classe di persone o di cose che normalmente comprendono innumerevoli individui. I nomi propri servono invece a riferirisi a un singolo individuo (anche se possono essere molto comuni, perché il contesto normalmente aiuta a superare l’ambiguità generata dall’omonimia). Quando Mosè scrive “Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE” (Deuteronomia 6:4), intende certamente anche sottolineare l’unicità del soggetto a cui si riferisce il nome del SIGNORE.

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