Il libro dei Proverbi, scritto dal re Salomone per dare istruzione e accorgimento alle future generazioni, è pieno di importanti e accorate esortazioni, alcune delle quali mettono in questione gli aspetti più profondi della vita interiore, in particolare di quella degli intellettuali. Come il consiglio da cui è tratto il titolo di questo articolo, al contempo di fondamentale importanza per la nostra felicità e praticamente impossibile da seguire.
Anche se viviamo nel presente, viviamo non tanto delle cose che sono successe e succedono ora, ma soprattutto delle cose che possiamo aspettarci che succedano in un futuro più o meno prossimo: è dal tipo di cose che ci aspettiamo che dipende la qualità della nostra vita. Quando, per una ragione o per l’altra, non ci importa più di quello che potrà succedere nel futuro, poco a poco ci lasciamo morire.
Così, oltre che di risolvere i problemi presenti, spesso ci preoccupiamo per quelli futuri. Anzi, per lo più, i nostri problemi presenti consistono proprio nella ricerca più o meno affannosa di strumenti (tipicamente, soldi o conoscenze) per risolvere i problemi che non si sono ancora presentati, ma che pensiamo potrebbero farlo.
La fede in Gesù come Signore e salvatore ci porta a cambiare il modo in cui percepiamo il nostro hic et nunc, ma, dicevamo, con Cristo entriamo nella luce (“Risvegliati tu che dormi … e Cristo ti inonderà di luce!”; Efesini, 5:14), e così, per mezzo della fede in quello che ci ha detto e in quello che ci ha fatto, riusciamo a guardare con fiducia anche oltre il nostro orizzonte immediato; acquistiamo cioè un nuovo sguardo, sia sul nostro futuro, sia sul nostro passato.
In realtà non si tratta solo del nostro sguardo o del nostro sapere. Il passato influisce sulla nostra condizione presente perché la nostra condizione presente è effettivamente conseguenza delle scelte che abbiamo fatto. Paolo ha scritto che “il salario del peccato è la morte” (Romani, 6:23a). Così, se si scelto la via del peccato, il risultato non può essere la vita. Nel suo primo salmo Davide definisce la felicità come la condizione di chi “non ha camminato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori e non si è seduto in compagnia degli schernitori” (Salmi, 1:1; nel testo originale, a differenza delle principali traduzioni moderne, tutti questi verbi sono al tempo al passato). Così se in passato abbiamo camminato per la via sbagliata, nel presente non possiamo attenderci la felicità. Ma, continua l’apostolo Paolo, “il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.” (Romani, 6:23b). Se il nostro passato ci incastra in una condizione di prigionia e schiavitù (Giovanni, 8:34), la parola di Dio ci offre invece una duratura liberazione.