Amicizia fraterna. Seconda parte

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Dio, se ci forma attraverso i nemici e le difficoltà che ci fa incontrare (in ebraico, “nemico”, “difficoltà” e “formare” si esprimono con parole che hanno in effetti radici molto vicine: rispettivamente,  tzar צַר , tzarah צָרָה e yatzar יָצַר), attraverso la dolcezza degli amici ci ricrea e parla positivamente al nostro cuore. Certamente non solo per approvarci, ma sempre per darci qualcosa che subito (o quasi subito) riconosciamo come un bene. Perché dagli amici, di solito, ci sentiamo compresi e anche amati.

Nell’amico riconosciamo le profondità del nostro cuore. Ascoltandolo e parlando con lui, i nostri stessi pensieri e sentimenti ci diventano più chiari. Perché “come il viso si riflette nell’acqua, così il cuore dell’uomo [‘adam אָדָם, cioè “l’essere umano, maschio e femmina”] si riflette nell’uomo.” (Proverbi, 27:19).

Con gli amici condividiamo i nostri interessi, che a volte non sono che un pretesto per parlare assieme sapendo di essere reciprocamente ascoltati e, di base, apprezzati. Anche solo per stare assieme, gli amici al bar o in salotto parlano di di cinema, di macchine, di sport, di politica, o di letteratura… ; in altri contesti comunitari si parla delle Sacre Scritture, di libri spirituali, o di altre esperienze. A tu per tu, si parla più spesso dei rapporti con gli altri, dei propri problemi, delle proprie riflessioni o delle conclusioni a cui è arrivati meditando sul senso della vita, e si cerca di definire assieme una comune identità. Un “noi” in cui riconoscersi, come coppia, come famiglia, come chiesa, come gruppo di amici.

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Amicizia fraterna. Prima parte

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Come insegna la proverbiale rima tra fratelli e coltelli, non è per niente scontato che i fratelli tra di loro si vogliano bene. Si è, di solito, figli degli stessi genitori, ma, sempre di solito, si è anche nati in diversi momenti della loro vita e si è avuto ognuno un diverso rapporto con ciascuno dei due. Inoltre, sempre salvo casi eccezionali, anche il patrimonio genetico ereditato è abbastanza diverso. Così, se da una parte con i propri fratelli si è legati da un’identità più forte che con qualunque altro essere umano, dall’altra però le differenze di trattamento, di esperienze e di corredo cromosomico, se mal gestite, possono portare anche a terribili conflitti, e fratricidi.

“Un fratello offeso è più inespugnabile di una fortezza; e le liti tra fratelli sono come le sbarre di un castello.” (Proverbi 18:19).

Nella Bibbia vediamo che i primi due fratelli di cui abbiamo notizia non andavano molto d’accordo: non sappiamo quali fossero i sentimenti di Abele, ma certamente Caino non gli voleva tanto bene. La stessa cosa ci è detta dei primi due figli di Abraamo (Ismaele e Isacco), dei due figli di Isacco (Giacobbe ed Esaù), e anche dei figli di Giacobbe, in particolare tra Giuseppe e i suoi fratelli, le cose non sono andate sempre lisce.

Anche tra fratelli in Cristo non è così scontato che ci si ami veramente. Tanto è vero che quello di amarci gli uni gli altri Gesù ha dovuto darcelo come un comandamento, e un comandamento nuovo (Giovanni, 13:34).

Eppure, se amiamo il Padre, dovremmo amare anche gli altri suoi figli, non solo perché, come ha scritto l’apostolo Giovanni, non possiamo dire di amare Dio che non vediamo se non amiamo il fratello che vediamo (1Giovanni, 4:20), ma anche perché sappiamo bene che un padre che ama i suoi figli è felice di vedere che anche i figli si amano tra di loro.

Spesso, però, anche nella famiglia della fede, l’amore per il nostro Padre celeste non è sufficientemente forte da farci superare l’antipatia, l’invidia, o altre cause di rivalità e di disamore. E noi, per giustificarci del fatto che non amiamo i nostri fratelli, protestiamo che non possiamo mica essere amici di tutti.

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Acquista verità, e non la vendere

 

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Il libro dei Proverbi, scritto dal re Salomone per dare istruzione e accorgimento alle future generazioni, è pieno di importanti e accorate esortazioni, alcune delle quali mettono in questione gli aspetti più profondi della vita interiore, in particolare di quella degli intellettuali. Come il consiglio da cui è tratto il titolo di questo articolo, al contempo di fondamentale importanza per la nostra felicità e praticamente impossibile da seguire.

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Non fatevi tesori sulla terra…

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Per spiegare perché non dobbiamo farci tesori sulla terra, Gesù, nel lungo discorso che – all’inizio della sua predicazione – ha tenuto ai discepoli raccolti in cima a un monte, aggiunge le seguenti relative: “… dove il tarlo e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano.” (Matteo, 6:19).

Queste parole ci mostrano la terra per quello che è: un posto dove non c’è nulla che sia veramente sicuro per noi. In qualche misura, possiamo pensare che lo sapevamo già. Infatti, anche se a volte ci culliamo nell’idea che esistano dei “beni rifugio”, bastano le immagini di un terremoto o di qualche catastrofe ecologica, o ancora il ricordo di qualche crisi finanziaria, perché ci possiamo rendere abbastanza bene conto del fatto che sulla terra non c’è proprio niente che possa essere economicamente del tutto sicuro. Ma, come vedremo meglio tra poco considerando il consiglio positivo del Signore di farci dei tesori in cielo, è chiaro che Gesù non ci parla solo delle cose che si vedono, soprattutto non ce ne parla solo in vista di quelle stesse cose. Non ci dice solo di spostare i nostri investimenti dalla terra al cielo: la terra e il cielo non possono contenere lo stesso tipo di cose. Sono quindi le cose stesse a cui diamo importanza che devono cambiare, se veramente vogliamo essere discepoli di Cristo.

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