Settima parola: non commettere adulterio

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Esodo, 20:14 Non commettere adulterio.

Dopo il sesto comandamento (“non commettere omicidio”), anche questo settimo è molto breve. In ebraico è ancora più breve che in italiano. Come il sesto e l’ottavo, è composto da due sole parole: lo’ thin’af (לֹא תִּנְאָֽף), la particella negativa lo’, che si usa per i divieti di legge, e l’imperfetto/futuro di na’af , un verbo la cui radice ha a che fare con il volgersi da un’altra parte, e che significa specificamente “commettere adulterio”.

Tra l’uno e l’altro comandamento sembra che la parola di Dio faccia un salto molto grande, passando da un crimine che è riconosciuto come tale in ogni tempo e in ogni cultura a un altro che oggi in Italia, legalmente, non è neanche più un reato. Ma non è successo per caso che questo comandamento abbia perso di valore legale per la nostra società; è accaduto, piuttosto, perché, dal punto di vista di quello che riusciamo a capire, può davvero sembrare che con l’adulterio non sia successo niente di grave: “Tale è la condotta della donna adultera: mangia, si pulisce la bocca, e dice: Non ho fatto nulla di male.” (Proverbi, 30:20).

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Buona e cattiva coscienza

conscience

La fede in Gesù come Signore e salvatore ci porta a cambiare il modo in cui percepiamo il nostro hic et nunc, ma, dicevamo, con Cristo entriamo nella luce (“Risvegliati tu che dormi … e Cristo ti inonderà di luce!”; Efesini, 5:14), e così, per mezzo della fede in quello che ci ha detto e in quello che ci ha fatto, riusciamo a guardare con fiducia anche oltre il nostro orizzonte immediato; acquistiamo cioè un nuovo sguardo, sia sul nostro futuro, sia sul nostro passato.

In realtà non si tratta solo del nostro sguardo o del nostro sapere. Il passato influisce sulla nostra condizione presente perché la nostra condizione presente è effettivamente conseguenza delle scelte che abbiamo fatto. Paolo ha scritto che “il salario del peccato è la morte” (Romani, 6:23a). Così, se si scelto la via del peccato, il risultato non può essere la vita. Nel suo primo salmo Davide definisce la felicità come la condizione di chi “non ha camminato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori e non si è seduto in compagnia degli schernitori” (Salmi, 1:1; nel testo originale, a differenza delle principali traduzioni moderne, tutti questi verbi sono al tempo al passato). Così se in passato abbiamo camminato per la via sbagliata, nel presente non possiamo attenderci la felicità. Ma, continua l’apostolo Paolo, “il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.” (Romani, 6:23b). Se il nostro passato ci incastra in una condizione di prigionia e schiavitù (Giovanni, 8:34), la parola di Dio ci offre invece una duratura liberazione.

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