In principio, la parola. Terzo giorno

terzo-giorno

Genesi 1:9 Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così fu.
10 Dio chiamò l’asciutto «terra», e chiamò la raccolta delle acque «mari». Dio vide che questo era buono.
11 Poi Dio disse: «Produca la terra della vegetazione, delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto avente in sé la propria semenza, sulla terra». E così fu.
12 La terra produsse della vegetazione, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie e degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie. Dio vide che questo era buono.
13 Fu sera, poi fu mattina: terzo giorno.

Poi Dio disse
Di nuovo, Dio parla e, attraverso la sua parola, aggiunge ordine a ordine. Qui, come per altro ogni volta che si riferisce alla creazione, il verbo usato (‘amar אָמַר) è l’equivalente del nostro dire. Più che sull’azione di parlare, l’accento è messo su ciò che viene detto, l’ordine dato, il compito da realizzare. In modo che si possa poi dire: “e così fu”.

Le acque che sono sotto il cielo
Iddio ha appena chiamato “la distesa” (raqya’ רָקִיעַ, termine che. come abbiamo visto, si può tradurre anche firmamento, spazio) “cielo” (Genesi, 1:8). Adesso, parlando delle “acque che sono [da] sotto il cielo” (hammayim mitakhat hashamayim הַמַּיִם מִתַּחַת הַשָּׁמַיִם), sta perciò parlando di tutte le acque che sono sotto il firmamento. Non solo delle acque che sono già scese al suolo sotto forma di pioggia, ma anche di quelle che devono ancora scendere, ma che si trovano comunque sotto il firmamento (anche se, sotto forma di vapore, stanno temporaneamente sopra le nostre teste; ma certe volte, per esempio in montagna, possono trovarsi anche sotto di noi).

Dopo aver accennato alle acque che sono sopra il cielo, la Scrittura ci parla ora solo di quelle che sono di sotto, perché abbiamo visto che tra quelle acque e le acque della creazione che sono sotto i nostri occhi, Dio ha messo i cieli come separazione.
Da qui in poi, la parola si concentra sulle cose che stanno sotto i cieli, ma non perché ci dimentichiamo di quelle che sono di sopra. Dobbiamo anzi orientare la nostra mente verso l’alto (come è scritto in Colossesi, 3:1), perché le cose di quaggiù devono diventare come quelle di sopra, affinché la volontà di Colui che ha fatto dei cieli il suo trono possa essere fatta quaggiù come è fatta là sopra (Matteo, 6:10) e anche noi uomini, come fanno le creature celesti, lodiamo il Signore e lo ringraziamo per tutte le cose, secondo quella che è la sua espressa volontà per coloro che sono in Cristo (1Tessalonicesi, 5:18).

siano raccolte in un unico luogo
L’acqua che sta sotto il cielo, quella che fluisce nell’atmosfera sotto forma di nuvole di diversa forma, altezza e dimensione, e che più o meno violentemente scende poi come neve, pioggia o grandine, è anche quella che si raccoglie nei laghi e nei fiumi per poi convergere negli oceani, da dove evaporerà risalendo verso gli strati più alti dell’atmosfera (secondo “il ciclo dell’acqua” che abbiamo studiato a scuola).
Nel testo originale, il verbo usato per esprimere l’azione di raccogliersi (qawah קָוָה) ha il significato di essere tirato, come una linea (qeweh קֶוֶה). Contiene un senso di tensione. Ha la stessa radice della parola che traduciamo “speranza” (tiqwah תִּקְוָה), che è infatti descritta dalla Lettera agli Ebrei come un’ancora fissa in cielo alla quale afferrarsi saldamente (Ebrei, 6:18-20). Qui però la linea non porta verso il cielo, ma verso il basso, costringendo l’acqua ad ammassarsi, secondo la forza di gravità.
L’acqua di sotto è governata dalla gravità. Grazie al calore della luce, le molecole d’acqua si liberano e salgono verso l’alto, ma poi, quando il vapore si raffredda e condensa, l’acqua si fa di nuovo pesante, ricade e viene di nuovo raccolta tutta nello stesso posto, spandendosi secondo le leggi della gravitazione universale che governano anche le masse d’acqua, come di tutti i fluidi non comprimibili.
L’acqua di sotto non simbolizza quindi solo la vita, ma anche la morte. È con l’acqua che cade dal cielo e con quella che fuoriesce dall’abisso che Dio ha deciso di immergere nella morte una prima volta la corruzione dell’umanità ai tempi di Noè (Genesi, 6:7). Ma quel diluvio non è soltanto un fatto della storia dell’uomo, ma piuttosto il simbolo di una sua realtà universale, cioè della necessità che l’uomo sia trasformato, o trasmutato. Questo è il significato del battesimo, espressione della nuova nascita, come lo spiegano l’apostolo Pietro (1Pietro 3:31) e l’apostolo Paolo (Romani, 6:4). Del resto, miqweh (מִקְוֶה), la parola usata poco più avanti per indicare la “raccolta delle acque”, viene comunemente utilizzata per indicare la vasca per le abluzioni rituali praticate nell’ebraismo e anche per i battesimi messianici.

e appaia l’asciutto. E così fu. Dio chiamò l’asciutto «terra»
La terra di cui si è parlato nel primo verso e che nel secondo era stata descritta come informe e vuota comincia qui a prendere forma. Dopo la raccolta delle acque, la terra che prima era solo fango e confusione diventa ciò per cui era stata creata, ed è ora pronta per essere la base della nostra dimora.
La Terra per eccellenza (ha-‘Aretz הָאָֽרֶץ) è oggi quella che Dio ha destinato a Israele, discendenza di Shem, figlio di Noè attraverso il quale continua la linea degli “amici di Dio” che arriverà ad Abramo, Mosè, i profeti, fino ai discepoli di Gesù, cioè tutte le “pecore di Israele”. La terra emerge dalle acque come Israele emerge dalle nazioni.
Ma anche la Terra di Israele e la Gerusalemme terrena che vi è stata costruita su indicazione di Dio come sua capitale e sede del Suo tempio sono una prefigurazione della nuova terra e dei nuovi cieli dove la Gerusalemme celeste è edificata non dalle mani dell’uomo ma dallo stesso Signore (Apocalisse, 21:1).
Le acque di sotto scendono con questo scopo, di fare venire alla luce, rendere visibile l’asciutto (yabbashah יַבָּשָׁה). La superficie che prima era coperto da una massa d’acqua torbida che lo separava dal cielo e dalla luce, adesso è diventato un luogo che aspetta l’acqua che viene dal cielo e che prefigura l’acqua viva celeste simbolo dello spirito Santo. “Io infatti – dice il Signore – spanderò le acque sul suolo assetato e i ruscelli sull’arida terra (yabashah); spanderò il mio Spirito sulla tua discendenza e la mia benedizione sui tuoi rampolli” (Isaia, 44:3).

e chiamò la raccolta delle acque «mari»
La raccolta delle acque (miqweh hamayim) è il risultato dell’ordine dato alle acque di raccogliersi in ruscelli e fiumi via via più grandi fino ad arrivare tutte in uno stesso posto: il mare.
Nella Bibbia i mari simbolizzano le nazioni, che circondano la terra di Israele con le loro minacce. “Oh, che rumore di popoli numerosi! Muggono, come muggono i mari. Che tumulto di nazioni! Le nazioni rumoreggiano come rumoreggiano le grandi acque. Ma Egli le minaccia, ed esse fuggono lontano, cacciate, come la pula dei monti dal vento, come un turbine di polvere dall’uragano” (Isaia, 17:12-13). La terra non deve temere i mari, perché è in vista della terra che i mari sono stati formati e non viceversa. Se le acque che sono sotto il cielo si sono raccolte nei mari è perché ne emergesse una terra che aspira alle cose che sono di sopra.
Nel libro del profeta Geremia, miqveh significa proprio “speranza”, il Signore stesso è chiamato così. “Speranza d’Israele (Miqveh Yisrael), o SIGNORE, tutti quelli che ti abbandonano saranno confusi; quelli che si allontanano da te saranno iscritti sulla polvere, perché hanno abbandonato il SIGNORE, la sorgente delle acque vive” (Geremia, 17:13). La fonte dell’acqua viva è chiamata raccolta (miqveh) perché di fatto è Dio che ci attira verso il cielo dove Lui è. Gesù ha detto: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni, 6:44) e successivamente “quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (Giovanni, 12:32).

Dio vide che questo era buono.
Anche questo è necessario e buono: che ci sia un limite tra il mare e la terra, perché così la terra può ricevere la luce che le serve per la vita e l’acqua che scende dal cielo non si mescola e non diventa un’unica massa con quella che è già scesa. È una cosa buona agli occhi di Dio anche questa separazione tra ciò che deve passare e ciò che deve essere trasformato per potere durare per sempre. Nella nuova creazione, rimarrà solo ciò che è eterno e non ci sarà più necessità di una separazione tra Israele e le nazioni (i due popoli saranno diventati uno, come è scritto in Efesini 2:14); ma non perché Israele sarà stato inglobato nel mare delle nazioni: piuttosto perché le nazioni saranno tutte venute alla luce della nuova terra e il mare non ci sarà più (Apocalisse, 21:1).

Poi Dio disse: Produca la terra della vegetazione
Anche quaggiù, seppure sempre solo per un certo tempo, l’acqua vince la forza di gravità che la spinge ad ammassarsi in un unico luogo, verso il basso. Separata dal mare, infatti, la terra riceve la pioggia dal cielo e diventa fertile, dando luogo a un’altra via di risalita rispetto a quella della trasformazione in vapore: la crescita della vegetazione.
L’acqua che scende come pioggia viene assorbita dalla terra che diventa capace di produrre vita. Come dice espressamente la Scrittura, è una figura visibile di quello che è l’opera della parola di Dio. “Si spanda il mio insegnamento come la pioggia, stilli la mia parola come la rugiada, come la pioggerella sopra la verdura e come un acquazzone sopra l’erba” (Deuteronomio, 32:2).
L’ebraico dice tadshe ha-‘aretz deshe (תַּֽדְשֵׁא הָאָרֶץ דֶּשֶׁא), letteralmente “vegeti la terra della vegetazione”. Sembra poca cosa, ma in questo ordine è contenuto tutto l’ordine della vita. Le molecole che formano la terra si devono ordinare in modo da crescere e riprodursi, dividendosi e moltiplicandosi come fanno le micro-alghe e i funghi microscopici che costituiscono la base dei primi vegetali, i licheni e le altre rudimentali forme di vegetazione come muschi e felci, che non hanno dei veri semi (ma solo spore), e che preparano il terreno per più complessi tipi di vegetazione, cioè per gli organismi capaci di produrre semi e anche frutti, come dice subito dopo. Oggi sappiamo che perché tutto questo potesse accadere è stato necessario che, a livello molecolare, si producessero tutti gli innumerevoli eventi che stanno alla base di ciò che chiamiamo il codice genetico.

delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto avente in sé la propria semenza, sulla terra
Scopo della terra è portare frutto. Se l’acqua che scende dal cielo e filtra attraverso la terra è come l’insegnamento della parola di Dio, sappiamo che questo insegnamento non è dato a vuoto. “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata” (Isaia, 55:10-11). Per questo chi medita la parola di Dio, come scrive Davide nel primo dei suoi salmi è come un albero piantato presso l’acqua corrente.
Ma la parola non solo è l’acqua che vivifica la terra: è anche il seme che cresce e si moltiplica quando cade nella terra giusta. Gesù, spiegando la parabola del seminatore, conclude dicendo: “quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l’uno rende il cento, l’altro il sessanta e l’altro il trenta.” (Matteo, 13:23).
C’è una terra rocciosa, e c’è una terra buona. Ogni tipo di vegetazione elencato in questi versi prepara il terreno per il tipo che segue. I licheni, i muschi e le felci lavorano la roccia e preparano l’humus, perché possano crescere altri vegetali più organizzati: l’erba che porta seme (come il grano e gli altri cereali) e poi, dopo che l’erba si è diffusa (soprattutto orizzontalmente), gli arbusti e gli alberi che mettono radici più profonde e fanno anche un frutto contenente il seme, che deve trovare un terreno adatto per poter mettere radice e rinascere come un nuovo organismo capace di portare altro frutto.
Così è anche il nostro cuore, più o meno adatto a ricevere il seme in modo da portare frutto. In questa del seminatore e in altre parabole in cui parla di semi e di piantagioni, Gesù nomina anche i rovi o le erbacce (le zizzanie di Matteo 13:25-40), piante che non portano frutto, ma anzi causano danni, impedendo alle piante fruttifere di portare il frutto che potrebbero portare. Sono una raffigurazione dei pensieri, dei discorsi e dei comportamenti che causano scandali e divisioni.
I biologi che cercano di descrivere matematicamente la crescita delle piante (per simularne la struttura al calcolatore) utilizzano delle specie di grammatiche che generano gli organismi vegetali con delle regole di costruzione sintattica, come con le lettere si generano parole, frasi e discorsi.
Il linguaggio è effettivamente fatto di semi, che producono piante più o meno fruttifere. Nella lingua ebraica, le parole per “meditazione” e “vegetazione”  hanno la stessa radice (siyakh שִׂיחַ). D’altra parte,  la parola che traduciamo con albero (‘etz עֵץ) significa anche “consiglio”. Il frutto prodotto dall’albero contiene a sua volta dei semi, che diventano capaci di produrre altri alberi. Così anche i nostri discorsi, provengono da scelte passate e producono scelte future.

A cominciare dalla prima scelta, quella compiuta nel giardino dell’Eden, dove si trovavano l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male: il consiglio della vita con Dio e il consiglio di una nostra autonomia di giudizio. Avendo scelto l’albero dell’autonomia, ci siamo incamminati per la nostra strada nella quale, come dice Paolo “siamo assenti dal Signore” (2Corinzi, 5:6). La terra è diventata dura e produttrice di spine (Genesi, 3:18). Ma Dio non ci ha lasciato senza speranza, anzi nella bellezza della vegetazione abbiamo una figura di una vita di nuovo con Dio.
“Beato l’uomo che non cammina secondo il consiglio degli empi (…), ma il cui diletto è nella legge del SIGNORE, e su quella legge medita giorno e notte, sarà come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione, e il cui fogliame non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà” (Salmi, 1:1-3). Il consiglio (l’albero) degli empi ci fa sperare in cose che non si realizzano mai. Speranze che portano la nostra vita a venir meno; ma, per chi lo desidera, c’è l’insegnamento del Signore che è una fonte di vita e di ristoro per tutti quelli che sono affamati e assetati di giustizia e di verità. “La speranza insoddisfatta fa languire il cuore, ma il desiderio realizzato è un albero di vita” (Proverbi, 13:12).
Nel libro di Ezechiele, dove si parla del Tempio di Dio, è scritto di un torrente sulla cui rive c’erano moltissimi alberi, da un lato e dall’altro (Ezechiele, 47:6-7). Lo stesso fiume ha visto Giovanni anche nella Gerusalemme che è in cielo: “Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita. Esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni” (Apocalisse, 22:1-2).

E così fu. La terra produsse della vegetazione, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie e degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie.
La terra, obbedendo alla parola di Dio, si modella in modo da far uscire l’acqua verso l’alto, sotto forma di vegetazione. Il verbo che viene qui tradotto con produsse vuol dire semplicemente “fece uscire”. Con la vegetazione l’acqua prende vita ed esce dalla terra in direzione del cielo, da dove era scesa e da dove viene la luce che nutre le piante della sua energia ordinatrice.
“Fare uscire” è un’azione apparentemente molto semplice. Ma perché questo avvenga in natura occorre che le molecole che si trovano nella terra si organizzino secondo un ordine che è l’ordine della vita. Nelle cellule vegetali, il carbonio e altri elementi chimici, che provengono dall’aria, e dall’acqua, per intervento della luce si mettono in fila per costruire materia vivente, anzi materia che produce la vita. Le cellule sono come pietre – o, secondo la metafora che ha dato loro il nome – come stanze viventi, che crescono secondo regole diverse a seconda delle diverse specializzazioni e contengono in sé il germe per la loro riproduzione.
Quello che accade nelle cellule a livello molecolare, come si è scoperto solo negli ultimi secoli e in particolare negli ultimi decenni, segue regole molto precise, perché in ognuna di esse è letteralmente scritto tutto il piano della costruzione dell’intero organismo.
Alcune cellule speciali, poi, i semi, sono formate in modo da fare ripartire la crescita di un organismo nuovo, che combina le caratteristiche dei due organismi da cui sono stati formati i semi.
In ebraico, la parola che traduciamo con specie è la stessa preposizione che in altri contesti significa semplicemente “da”. Gli arbusti e gli alberi fanno fiori e frutti che contengono semi che propagano la specie. da loro nasceranno cioè tanti organismi che derivano dagli stessi progenitori. Ogni albero dà lo stesso tipo di frutto. “Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” (Matteo, 7:16). Così dal frutto si riconosce l’albero. Come è dall’esperienza che si fa che si capisce se il consiglio era buono o era cattivo.

Dio vide che questo era buono.
Anche questa separazione tra specie e specie è buona e utile. Produce ordine e luce per la vita e per la conoscenza. Non serve solo per fissare delle immagini o costruire delle classificazioni, ma per discernere la via e comprendere come si sviluppa la vita.
Gli scienziati che nel XVIII e XIX secolo, studiando gli organismi fossili, hanno constatato che le specie non sono rimaste sempre le stesse (ma sono cambiate e continuano a cambiare) non hanno dimostrato nulla contro quello che è scritto in questi versi. Sono semmai riusciti a demolire la filosofia che aveva dominato la scienza per millenni e che era stata inglobata nella teologia dell’Impero romano. Nella Bibbia non c’è scritto che le specie sarebbero rimaste sempre le stesse. Che gli organismi si siano differenziati e si differenzino continuamente è anzi sottolineato proprio dal modo in cui la Bibbia parla delle specie, come ciò da cui ciascun organismo proviene. Ogni organismo ha un’origine e si definisce in base alla sua origine, ma questo non esclude che possa avere una grande quantità e diversità di discendenti, che conservano memoria della loro origine, ma certamente anche arricchiscono le loro qualità adattandosi all’ambiente dove si trovano a vivere e a riprodursi, man mano che muoiono e vengono sostituiti dalle nuove generazioni.
Le cose quaggiù non sono affatto eterne. Anche la vegetazione, con tutta la sua bellezza e la sua spinta verso l’alto, prima o poi viene meno e ridiventa terra. E così anche noi. “L’erba si secca, il fiore appassisce quando il soffio del SIGNORE vi passa sopra; certo, il popolo è come l’erba. L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Isaia, 40:7-8).

Fu sera, poi fu mattina: terzo giorno.
Era sera, le cose erano confuse e potevano diventarlo sempre di più, ma è venuta altra luce a fare chiarezza, a distinguere la terra dal mare e, sulla terra, gli organismi vegetali dal suolo minerale, e le piante le une dalle altre. Contemplando l’opera della parola creatrice, impariamo a fidarci di chi ha fatto ogni cosa e sa preparare con pazienza e precisione la sua opera perché possa vivere e portare frutto.

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