
Riprendiamo il nostro viaggio, ripartendo dal Sistema Solare, e muovendoci questa volta dagli oggetti celesti più vicini per andare verso quelli man mano più lontani da noi. Dalla Luna fino ai confini dell’Universo osservabile.
Più che sulla loro struttura, ci concentreremo sulla loro funzione e sulle loro trasformazioni.
Cominciamo dal principio, quando Dio, con la sua parola, ha generato la luce “Dio disse: Sia luce! E luce fu.” (Genesi, 1:3). Della luce infatti non è detto che sia stata creata, o fatta. Dio stesso è luce (1Giovanni, 1:5). E la sua parola è ugualmente luce (Salmi, 119:105, Giovanni 1:4).
Questa luce increata si manifesta attraverso le creature. E infatti Gesù, che ha detto “io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giovanni, 8:12), ha detto ai suoi discepoli che anche noi siamo “la luce del mondo” (Matteo, 5:14).
Analogamente, in principio, dopo avere generato la luce (‘or אוֹר) che ha chiamato “giorno” (yom יוֹם), e dopo averla separata dalle tenebre che ha chiamato “notte” (layilah לָיְלָה), e dopo aver separato i mari dalla terra asciutta il secondo giorno, e aver successivamente dato vita ai vegetali il terzo giorno, Dio il quarto giorno ha fatto anche delle luci (me’oroth מְאֹרֹת), cioè delle sorgenti di quella che, per le creature del quinto e sesto giorno, diventerà la luce visibile.
“Poi Dio disse: Vi siano delle luci nella distesa dei cieli per separare il giorno dalla notte; siano dei segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni; facciano luce nella distesa dei cieli per illuminare la terra. E così fu. Dio fece le due grandi luci: la luce maggiore per presiedere al giorno e la luce minore per presiedere alla notte; e fece pure le stelle. Dio le mise nella distesa dei cieli per illuminare la terra, per presiedere al giorno e alla notte e separare la luce dalle tenebre. Dio vide che questo era buono. Fu sera, poi fu mattina: quarto giorno.” (Genesi, 1:14-19).
Queste luci (alcuni traducono la parola me’oroth con luminari, l’idea è quella di una sorgente da cui proviene luce, ‘or) non sono fatte di luce, ma emettono luce. Dio stesso, il primo giorno, aveva separato la luce dalle tenebre. Poi però il quarto giorno ha creato le luci per lo stesso scopo: separare la luce dalle tenebre.
Analogamente, dopo aver mandato Gesù per compiere un giudizio spirituale tra le tenebre e la luce (“Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.” Giovanni 3:19), ha realizzato concretamente il giudizio attraverso le creature che hanno deciso di amarlo e di seguirlo e quelle che hanno scelto di odiarlo e che Gesù ha inviato nel mondo come emissari della sua luce.
Sappiamo dalla fisica che ogni corpo a temperatura superiore allo zero assoluto emette una certa luce, anche se, perché questa luce possa essere vista dai nostri occhi, occorre che la temperatura sia molto elevata (detto tra parentesi, questo ci dice che, come discepoli di Cristo, per diventare veramente luce dobbiamo acquistare un’elevata temperatura spirituale; per questo Gesù è venuto ad accendere un fuoco; del resto la metafora dei discepoli come stelle del firmamento la si trova anche già in Daniele, 12:3).
Sappiamo anche che i corpi possono fare luce anche riflettendo la luce emessa da un altro corpo, come, nel Sistema solare, accade ai pianeti e ai loro satelliti.

In entrambi i casi, cioè sia che brillino di luce propria sia che riflettano la luce emessa da un altro corpo celeste, questi luminari sono di fatto delle masse: oggetti fatti di una materia che in qualche misura resiste alla luce. Altrimenti sarebbero trasparenti e non produrrebbero né rifletterebbero la radiazione luminosa. Come accade alla misteriosa materia oscura (dark matter), alla quale abbiamo accennato nel precedente articolo di questa serie.
La creazione dello spazio e del tempo è perciò il modo in cui la luce increata può manifestarsi nel cosmo, cioè nel mondo. Il SIGNORE, per bocca del profeta Isaia, ha infatti detto: “Io formo la luce e creo le tenebre” (Isaia, 45:7). Attraverso la luce, il SIGNORE crea le tenebre e attraverso le tenebre forma la luce.
Per noi, creature dell’ultima ora dell’ultimo giorno, è solo grazie alle luci che vi si muovono che il cielo diventa il riferimento stabile per orientarci nello spazio e soprattutto nel tempo, cioè per mettere ordine nei cambiamenti che si succedono davanti ai nostri occhi e che registriamo nella nostra memoria.
Sempre per noi, abitanti della Terra, le principali “lancette” di questa grande bussolla/orologio sono la Luna e il Sole. Ma anche le stelle sono state usate per conoscere le epoche della storia.
E non solo le cosiddette “stelle fisse” (quelle che formano le costellazioni). Più recentemente, anche altre stelle ci stanno dando informazioni sulle epoche della storia: non solo della Terra e del sistema solare, ma dell’intero Universo. Lo vedremo più avanti.
Torniamo per ora al Sole e alla Luna. Viste dalla Terra, queste due “luci” appaiono come due dischi di uguali dimensioni: infatti l’una è tanto più piccola quanto l’altra è più lontana (il Sole è allo stesso tempo 400 volte più grande e 400 volte più lontano della Luna). Questa equivalenza del disco dei due luminari diventa evidente durante le eclissi, in particolare le eclissi totali di Sole.

La quantità di luce che emettono Sole e Luna è però molto diversa, e sono molto diversi anche gli effetti che il loro moto (reale o apparente) produce sulla Terra.
Siccome la gravità opera in funzione del quadrato della distanza, la Luna, pur essendo molto più piccola, grazie alla sua relativa vicinanza, esercita sulla Terra un effetto gravitazionale comparabile a quello del Sole.
La qual cosa conferma quanto si legge in Genesi, 1:16: il Sole governa il giorno (che è il nome con cui Dio, in Genesi 1:5, ha chiamato la luce), mentre la Luna governa la notte, cioè le masse (ricordiamo che, sempre in Genesi 1:5, notte è il nome con cui Dio chiama le tenebre, ovvero di ciò che si oppone alla luce). Infatti il Sole è per noi la principale fonte di energia luminosa, mentre la rivoluzione della Luna attorno alla Terra influenza la circolazione dei flussi.
La Luna gira attorno alla Terra alla stessa velocità con cui ruota attorno al proprio asse, ci mostra perciò sempre la stessa faccia, che, a seconda della sua posizione rispetto al Sole, può essere più o meno “piena”.

Le fasi della Luna segnano perciò il variare delle cosiddette forze mareali, causate dall’interferenza dell’attrazione gravitazione esercitata dalla Luna su quella esercitata dal Sole, che rimane sostanzialmente stabile. Sono cioè un segno del variare della forza che la sua attrazione gravitazionale esercita sulla Terra sottraendosi o addizionandosi a quella del Sole durante il ciclo del mese.

Il variare della posizione del Sole in cielo segna invece le ore del giorno e, alla stessa ora in giorni successivi, il susseguirsi delle stagioni nell’anno; con le conseguenti variazioni della quantità di luce ricevuta mediamente dalla superficie terrestre.
La scienza moderna ha scoperto che questo splendido orologio astronomico con cui possiamo definire la nostra posizione rispetto all’eternità è pur sempre una creatura nel tempo, composta di corpi soggetti a variazione, corpi che non dureranno per sempre.
I filosofi antichi (Aristotele, in particolare) credevano invece che gli astri fossero perfetti ed eterni, e che la Luna segnasse il confine tra la perfezione celeste e l’imperfezione terrena.

Per questo le prime osservazioni della Luna al telescopio hanno fatto un certo scalpore. E ancora di più la presenza di macchie nel Sole, che costituiva un serio problema per i filosofi aristotelici.

La loro osservazione al telescopio (realizzata per la prima volta, in Occidente, da Johannes e David Fabricius nel 1610) fu un duro colpo per la scuola aristotelica. Oggi sappiamo che il Sole è tutt’altro che liscio e perfetto, e che dalla sua superficie si protendono immensi archi di fuoco in continuo movimento

La visione moderna dei corpi celesti, se contraddice la filosofia di Aristotele, conferma invece la parola di Dio, che ci annuncia grandi trasformazioni nel cielo visibile. E che in generale dichiara temporaneo tutto ciò che si può vedere (2Corinzi, 4:18).
La storia della scienza moderna è anche la storia del progressivo smantellamento delle certezze che si basano solo su ciò che si vede, come se i nostri sensi fossero di per se sufficienti a farci conoscere la verità. La lettura della natura in termini logico-matematici ci ha insegnato a osservare i fenomeni molto più in profondità. E nel corso dei secoli ci siamo anche resi progressivamente conto della misteriosa natura degli stessi numeri, man mano che abbiamo imparato a usarli con sempre maggior rigore per studiare le cose.
Dopo Galileo, l’iniziatore della matematizzazione del cosmo, sappiamo che il movimento apparente del Sole nel nostro cielo è il risultato del movimento della Terra su cui camminiamo e che ci sembra ferma solo perché viaggiamo nel suo sistema di riferimento inerziale.

Anche i pianeti (la parola in greco significa “vagabondo”) compiono le loro strane evoluzioni attorno alla Terra, che gli astronomi antichi avevano imparato a calcolare.

Nonostante il modello geocentrico fosse antiecononomico e completamente errato dal punto di vista della descrizione fisica del comportamento degli oggetti celesti, le carte del moto apparente degli astri descrivono la precisione geometrica del loro moto rispetto al nostro punto di vista, appunto come lancette di un grande orologio celeste.
Secondo l’interpretazione di Galileo Galilei e il modello fisico della meccanica celeste elaborato da Isaac Newton, i pianeti e la Terra orbitano attorno al Sole così come i satelliti intorno ai loro pianeti e quello che muove tutto il Sistema è l’attrazione gravitazionale esercitata dai corpi l’uno sull’altro.
I calcoli astronomici basati sulla meccanica newtoniana con cui si descrivono i movimenti dei corpi celesti sono così precisi che il matematico e astronomo francese Urbain Le Verrier, a partire da alcune anomalie osservate nell’orbita di Urano, fu in grado di prevedere l’esistenza di Nettuno prima che venisse osservato, una notte di settembre del 1846 (la storia si è ripetuta il secolo dopo con la previsione e la scoperta del pianeta nano Plutone nel febbraio del 1930).

Queste ed altre scoperte astronomiche, confermando la correttezza dei modelli matematici con cui la scienza era riuscita a descrivere il mondo fisico, avevano diffuso la certezza di poter seguire ogni sistema nei minimi dettagli e prevedere con le leggi della fisica il movimento di tutte le loro parti, dagli atomi alle stelle.
Ma, com’è scritto, “la superbia precede la rovina, e lo spirito altero precede la caduta” (Proverbi 16:18). Le certezze della fisica rispetto alla calcolabilità e la predicibilità dell’Universo non dovevano durare a lungo.
Dei terremoti della fisica classica nel mondo microscopico parleremo forse alla fine del nostro viaggio. Dobbiamo invece almeno brevemente accennare alla teoria della relatività, che Albert Einstein ha elaborato nei primi lustri del secolo scorso e che ha mostrato che la meccanica celeste di Newton non è l’ultima realtà dell’Universo, ma solo un caso particolare di qualcosa di molto più complesso e generale. Lo spazio e il tempo all’interno del quale possono essere fatte le precise previsioni dell’astronomia e quelle che guidano l’ingegneria civile e areonautica (fino alla navigazione delle sonde spaziali), diventano – su scale cosmologiche – due variabili totalmente interdipendenti. Non esistono cioè uno spazio e un tempo assoluti, ma ogni oggetto ha uno spazio-tempo relativo al sistema di riferimento inerziale nel quale viene considerato: cioè alle masse che lo circondano, che sono anche capaci di curvare la stessa luce che permette di misurarlo.
Anche senza assumere un punto di vista cosmologico e rimanendo ancora su scale spaziotempoali non relativistiche, quello che alla visione ingenua sembrava stabile e unitario a un’osservazione scientifica più attenta e meno influenzata da preconcetti filosofici appare come una realtà molto più dinamica e complessa.
Guardando il cielo più da vicino non solo i pianeti, i satelliti e le stelle mostrano abbondanti rugosità e segni di trasformazione, ma lo stesso spazio si presenta non uniforme e in continuo cambiamento.
Più guardiamo lontano, più gli oggetti che osserviamo ci appaiono immobili, ma se li osserviamo al telescopio anche le stelle che a occhio nudo ci appaiono immobili e tutte quasi uguali risultano invece molto diverse e in movimento le une rispetto alle altre, e a velocità neanche tanto basse. A cominciare dal nostro Sole.
Il Sole, che nel sistema eliocentrico costituisce il nostro punto di riferimento fisso, sta infatti viaggiando con tutti i suoi pianeti e i loro satelliti nello spazio galattico a una velocità di circa 820.000 km/h (230 km/s).

La stessa cosa avviene anche a tutte le altre stelle, che ci appaiono “fisse” solo perché normalmente, a occhio nudo, non le possiamo fissare abbastanza attentamente. Anziché “fisse” sono invece in costante evoluzione.
il SIGNORE un giorno ha fatto uscire dalla tenda Abramo, che era già abbastanza vecchio ma non aveva ancora avuto nessun figlio, e gli ha detto “Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare. E soggiunse: Tale sarà la tua discendenza.” (Genesi 15:5).

La sfida a contare le stelle non si basava solo sull’impossibilità materiale di osservarle tutte a occhio nudo, ma anche sul fatto che, come i figli, le stelle nascono e anche muoioni, generazione dopo generazione. E il loro numero continua a cambiare (senza tener conto del fatto che alcune di quesgli oggetti che apparivano come stelle o nebulose, contengono ognuno mmiliardi di altre stelle e nebulose; ma di questo abbiamo già parlato).
All’interno della nostra Galassia, gli astronomi hanno scoperto vaste regioni in cui particolari abbondanze di gas interstellari favoriscono la nascita di nuove stelle, che difatti vi si contano numerose (riconoscibili dallo spettro della luce che emettono).

L’abbondanza di gas può essere il risultato della morte di stelle più antiche, morte che può prendere forme molto diverse.
Le stelle possono spegnersi lentamente e originare le cosiddette, e bellissime, nebulose planetarie. Come la Nebulosa Occhio di gatto, distante circa 3000 anni luce dal Sistema solare.

O possono esplodere violentemente, come è successo circa mille anni fa alla stella che ha dato origine all’attuale nebulosa del Granchio.

Anche le esplosioni stellari possono avere esiti decisamente diversi. Possono assumere forme abbastanza regolari, come nel caso di questa specie di uovo cosmico che si è recentemente schiuso davanti agli “occhi” degli astronomi.

O ancora più simmetriche, come questa immensa bolla di gas interstellare, probabile resto di una supernova Ia, uno speciale tipo di supernove di cui stiamo per parlare.


Oggi possiamo osservare anche supernove che illuminano galassie molto lontane dalla nostra.

Diverse osservazioni ravvicinate nel tempo di supernove di tipo Ia (un tipo caratterizzato da un preciso rapporto tra magnitudine apparente e distanza) stanno dando agli astronomi forti ragioni di credere che il nostro Universo non si stia espandendo solo sotto la spinta del Big bang.
Il calcolo delle distanze cosmiche a partire dalla loro velocità di allontanamento – elaborato da Edwin Hubble negli anni ’30 – assume che l’Universo si stia espandendo dal Big bang a una velocità che diminuisce con il tempo (Legge di Hubble-Lemaître). Per questo maggiori velocità di allontanamento indicherebbero una maggiore lontananza.
Queste nuove misure provenienti da supernove lontane ci dicono che in realtà l’idea che la velocità di espansione diminuisce con il tempo non è in accordo con i fatti. Secondo questi dati osservativi l’espansione dell’Universo sarebbe soggetta a una considerevole costante di accelerazione, dovuta a una forza cosmica di natura ancora sconosciuta, che viene perciò denominata dark energy (energia oscura). Come nel caso della materia oscura (dark matter), il temine dark non si riferisce a una reale oscurità, ma al contrario al fatto che questa misteriosa energia non è spiegabile in termini di massa e calore che possano essere osservati direttamente.
Sia che l’espansione dell’Universo stia accelerando o decelerando, sta di fatto che le galassie si muovono anche relativamente le une alle altre. Per esempio la galassia di Andromeda ci sta venendo rapidamente incontro.

Altre galassie si sono già scontrate, o stanno per farlo.


Ad ogni modo, secondo i calcoli attuali, la nostra Galassia assieme al Gruppo Locale di galassie a cui appartiene si sta muovendo alla considerevole velocità di 2.160.000 Km/h (600 km/s), rispetto al fondo cosmico.

Tenendo in mente tutti questi fatti, ci sembrerà forse meno irreale ciò di cui il libro dell’Apocalisse parla come di un evento ormai passato, quando racconta che “il sole diventò nero come un sacco di crine, e la luna diventò tutta come sangue; le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un forte vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. Il cielo si ritirò come una pergamena che si arrotola, …” (Apocalisse, 6:12-14).
Anche l’apostolo Pietro annuncia qualcosa di simile scrivendo che nel giorno del Signore “i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate.” (2Pietro, 3:10).
Concludiamo perciò con l’esortazione dell’autore della Lettera agli Ebrei a fare attenzione alla parola che ha creato le stelle e che ci parla dal cielo: “la cui voce scosse allora la terra e che adesso ha fatto questa promessa: Ancora una volta farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo. Or questo “ancora una volta” sta a indicare la rimozione delle cose scosse come di cose fatte perché sussistano quelle che non sono scosse. Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore! Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante.” (Ebrei, 12:26-29).
[…] 02. La danza delle luci […]
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