In principio, la parola. Sesto giorno

sesto-giorno

Genesi 1:24 Poi Dio disse: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie». E così fu.
25 Dio fece gli animali selvatici della terra secondo le loro specie, il bestiame secondo le sue specie e tutti i rettili della terra secondo le loro specie. Dio vide che questo era buono.
26 Poi Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
27 Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina.
28 Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra».
29 Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento.
30 A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento». E così fu.
31 Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno.

Poi Dio disse: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie, bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie.
Dopo il pullulare di vita animale prodotto dalle acque che sono sotto il cielo, tocca ora alla terra produrre la vita. Non si tratta questa volta di un pullulare, bensì di un “far uscire”, con lo stesso verbo usato prima (Genesi, 1:12) per descrivere la produzione, sempre da parte della terra, della vegetazione.
Come gli animali acquatici sono il prodotto dell’ambiente nel quale devono vivere e mostrano nelle loro forme le proprietà dell’acqua, così anche quelli terrestri sono fatti in modo da muoversi sulla terra. Riappaiono così e si perfezionano le zampe articolate in ginocchia e caviglie che avevano fatto la loro comparsa in alcuni animali marini e negli uccelli.
La parola bestiame – che in italiano fa forse troppo pensare agli animali domestici – può essere meglio tradotta con un generico quadrupedi (come difatti traduce la Septuaginta). Il termine originale (behemah בְּהֵמָה) è usato altrove anche per indicare bestie selvatiche anche violente. Al plurale (ma con il verbo al singolare), lo stesso nome (behemoth, a volte tradotto “ippopotamo”) appare nel libro di Giobbe (40:15) – dove si parla anche del leviatano, a volte reso con “coccodrillo”, per riferirsi a una creatura la cui forza l’uomo da solo non può domare. Detto per inciso, un analogo della coppia Leviathan/Behemoth ritorna – nello stesso ordine – alla fine della Bibbia, nel capitolo 13 dell’Apocalisse, come “bestia che esce dal mare”/“bestia che esce dalla terra”.
Il termine ebraico tradotto con rettili (remes רֶמֶשׂ) si riferisce invece al senso etimologico della parola italiana rettile (dal verbo latino repo che significa “strisciare”) e comprende in generale tutti gli animali che si muovono senza staccarsi visibilmente dal suolo (come verbo, remes è usato anche per riferirsi ad animali marini, forse a quelli che strisciano sul fondo, cfr Salmi, 104:25).

In sostanza si parla quindi di tutte le creature viventi che si muovono sulla terra, sia quelle che si muovono imponenti o eleganti nelle radure o tra gli alberi, sia quelle che scivolano a livello del suolo nascoste tra la vegetazione più bassa.

E così fu. Dio fece gli animali selvatici della terra secondo le loro specie, il bestiame secondo le sue specie, e tutti i rettili della terra secondo le loro specie. Dio vide che questo era buono.
La terra fa uscire, ma in realtà è Dio che opera, e nella produzione delle creature che popoleranno la terra viene nuovamente sottolineata la separazione tra le specie. Dio segna i confini all’interno dei quali gli animali possono riprodursi, perché la creazione possa continuare ad arricchirsi della diversità generata dalle regole (parole) con cui è stata creata e non perdere questa ricchezza attraverso disordinate ibridazioni che porterebbero a una natura popolata da bestie mostruose e imprevedibili.
La nascita di nuove specie per differenziazione dalle specie progenitrici non è in contrasto con l’insegnamento della Bibbia, anzi tutt’altro. La Scrittura infatti ci dice che tutte le specie degli animali che vivono sulla terra (e che oggi non si possono nemmeno contare con precisione) si devono essere differenziate da un numero finito di coppie, dopo che il diluvio, non moltissime migliaia (!) di anni fa, ha spazzato via tutti gli animali terricoli che non sono entrati nell’arca assieme a Noè e alla sua famiglia.
Il contrasto semmai verte sulla quantità di anni solari trascorsi dall’inizio fino a questo sesto giorno, e sulla durata di quest’ultimo, sull’età cioè della Terra, dell’Universo, della vita nel mare e sulla terra. Ma i dati su cui si basano gli scienziati che negano la verità del racconto biblico sono comunque indiretti e partono dall’ipotesi non verificata che quelle che oggi consideriamo costanti fisiche siano state tali fin dall’inizio.

Attribuendo al caso e alla necessità l’opera ordinatrice che ha prodotto il cosmo e in particolare la biosfera, la scienza che cerca di ricostruire l’origine delle cose “secondo i loro propri principi”, deve per forza ipotizzare scale temporali incommensurabili con quelle della nostra vita e della nostra storia (come per altro lo sono quelle misurate nello spazio). Ma la parola ci consiglia di non affrettare le nostre conclusioni, ricordando che “per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno” (2Pietro, 3:8).

In questo verso l’ordine delle classi di animali enumerate non sembra essere l’ordine cronologico della loro comparsa, ma, ancora una volta, piuttosto quello tipologico della loro differenziazione: vengono infatti indicati prima tutti gli animali della terra (l’aggettivo selvatici è una cortese aggiunta dei nostri traduttori, l’originale dice soltanto chayiat-ha-‘arez חַֽיְתֹו־אֶרֶץ, “animali della terra”), per precisare poi che ci si riferisce sia a quelli che avanzano su zampe ben visibili, sia a quelli che invece strisciano più vicini al suolo.

Poi Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine
La parola ebraica qui tradotta con “immagine” è tselem צֶלֶם. La radice di questa parola, che nell’ebraico moderno si usa anche per riferirsi alla fotografia, contiene il senso di “ombra” (tzel צֵל) e fa pensare a un calco, un’impronta. Qualcosa attraverso cui Dio, che non può essere visto, si rende in qualche modo visibile.
In Genesi 1:1, abbiamo già visto come il soggetto plurale di Dio (Elohyim אֱלֹהִים) si esprima in azioni che possono essere descritte da un verbo al singolare. Vediamo ora che questa unità della pluralità di Dio si riflette nel culmine della sua creazione: l’uomo.
Dio è un soggetto plurale, ma ha un’immagine singolare, un’espressione unica. L’apostolo Giovanni parla infatti dell’unigenito figlio di Dio (Giovanni, 1:14 e 18; 3:16 e 18; 1Giovanni, 4:9). L’apostolo Paolo scrive che il figlio di Dio è “immagine del Dio invisibile” (Colossesi, 1:15).

Anche l’uomo è una realtà complessa che si manifesta in un modo unitario. Come dice Paolo, il suo intero essere è costituito da tre componenti: “lo spirito, l’anima e il corpo” (1Tessalonicesi, 5:23). Oltre al corpo e all’anima, che hanno anche gli altri animali, l’uomo ha cioè anche uno spirito, che guida entrambi, dando coerenza agli atti del corpo e ai sentimenti o ai desideri dell’anima. L’immagine di Dio riflessa nell’uomo sta in questa coerenza profonda che dà senso alle sue azioni, rendendole intelligenti e intellegibili.
L’uomo è stato creato a immagine di Dio e, come Dio, parla e può dare alla parola l’importanza che le spetta. Almeno questa è la sua chiamata. Di fatto, è l’unico animale capace di raccontare la sua storia. Può usare il suo corpo per combattere e per sedurre, come fanno anche gli altri animali, ma può usarlo anche per dire la verità, cosa che gli altri animali non possono fare.

conforme alla nostra somiglianza
Questa seconda specificazione ci dice che, nell’intenzione di Dio, l’immagine va oltre l’apparenza esteriore. Nel termine ebraico (d’muth דְּמוּת) è contenuta la radice della parola sangue (dam דָּם). Si tratta quindi di una somiglianza profonda, come quella che ci può essere solo tra un genitore e la sua discendenza. Anche del terzo figlio di Adamo, Seth, è scritto che Adamo lo generò “a sua somiglianza” (Genesi 5:3). Come il frutto esprime la natura dell’albero, così il figlio esprime la natura del padre.
Il Figlio di Dio è La parola di Dio, come suona uno dei nomi di Cristo rivelati all’apostolo Giovanni (Apocalisse, 19:13). Il Figlio di Dio è la fedele espressione dell’amore del Padre. Gesù infatti diceva e faceva solo quello che gli veniva ordinato da Dio (Giovanni, 7:16, 12:49-50, 14:10 e 24, 17:8). Una voce lo ha espressamente dichiarato a tutti dal cielo il giorno del battesimo di Gesù (Matteo, 3:17). La stessa voce ha detto da una nuvola ai discepoli che erano con lui sul monte della trasfigurazione: “Questo è il figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo” (Matteo, 17:5 e paralleli).
Pur essendo il figlio diletto del Padre celeste, Gesù preferiva comunque chiamare se stesso “il figlio dell’uomo” (ho uiòs tou anthropou ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου, espressione che corrisponde all’ebraico ben adam בֶּן־אָדָֽם). In realtà, in Cristo i due attributi vengono a coincidere. In effetti, la genealogia di Gesù contenuta nel vangelo di Luca conclude dichiarandolo contemporaneamente figlio di Adamo e di Dio (Luca, 3:38).
Gesù è venuto a portarci proprio questo messaggio, per il quale è stato anche accusato di bestemmia: il figlio dell’uomo è il figlio di Dio. L’uomo creato a immagine di Dio è stato destinato a entrare nella verità di questa immagine e cioè nella somiglianza del Padre celeste.

Non era un messaggio nuovo, era già contenuto nelle Sacre Scritture tramandate dai padri, e non solo nel libro della Genesi. All’accusa di bestemmia Gesù infatti risponde citando il salmo 82 come parte integrante della Scrittura: “Non sta scritto nella vostra legge: Io ho detto: voi siete Dio [l’originale ebraico del salmo è Elohyim]”? Se chiama Dio coloro ai quali la parola di Dio è stata diretta (e la Scrittura non può essere annullata), come mai a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio?” (Giovanni, 10:34-36).
Essendo stato creato a immagine di Dio, l’uomo, a differenza degli altri animali, ha quindi la possibilità di assomigliare al suo Creatore in un modo vero. Può essere amato da Dio e può amarlo a sua volta, con la più profonda immedesimazione che si possa concepire: l’amore tra padre e figlio. L’amore del figlio per il padre, che viene dal riconoscere l’amore del padre per il figlio. Lo stesso amore che ci porta poi ad amare i nostri fratelli come figli e come padri (a seconda della nostra e della loro età).
Questo è l’amore puro che Gesù ci ha insegnato e che ha pregato il Padre che unisse anche coloro che avrebbero creduto nella sua parola (Giovanni, 17:21). L’amore che il Padre ci ha mostrato mandando Gesù a morire sulla croce per i nostri peccati e l’amore che la progenie dell’uomo ha potuto esprimere nei confronti di Dio credendo al suo piano e dando valore a ciò che è invisibile ed eterno, a scapito di ciò che si vede nello spazio e nel tempo. Come ha fatto Gesù, quando ha accettato di morire per noi; e come prima di lui hanno fatto Abramo, Isacco e Giacobbe, e in generale tutti gli uomini che hanno dato più importanza all’amicizia con Dio che alla propria vita.
La più profonda somiglianza dell’uomo con Dio sta in questa vocazione alla paternità, che vediamo chiaramente espressa nel popolo di Israele. Anche da un punto di vista etologico, l’uomo è l’unico animale in cui il rapporto di padre e figlio si conserva lungo le generazioni. Tra gli animali, molto raramente i padri si prendono cura dei loro figli, e quasi mai dei nipoti. L’amore del padre per i propri figli e tanto più quello dei nonni per i propri nipoti è una caratteristica unica della nostra specie ed è particolarmente forte nel popolo di Dio. Parlando al suo popolo Israele della trasmissione della sua parola, il Signore contava su questo amore paterno e su questo rispetto filiale (Esodo, 10:2; Deuteronomio, 4:9). Infatti qualcuno ha detto che ebreo è non solo e non tanto chi ha dei genitori ebrei, ma piuttosto chi ha dei nipoti ebrei. E quando si presenta a Mosè, il Signore sottolinea la continuità tra le generazioni garantita dal rapporto tra padre, figlio e nipote, dicendo: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe” (Esodo, 3:6).
Il rapporto tra padri e figli rimane di fondamentale importanza in tutta la Bibbia. Alla fine dell’Antico Testamento è scritto “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del SIGNORE, giorno grande e terribile. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, perché io non debba venire a colpire il paese di sterminio” (Malachia, 4:5-6). Ma anche nelle lettere degli apostoli, dove il rapporto tra padri e figli acquista anche il significato nuovo che proviene dall’essere generati alla nuova vita nella fede, senza però cancellare il senso e la realtà della generazione naturale. Paolo scrive: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto. Onora tuo padre e tua madre (questo è il primo comandamento con promessa) affinché tu sia felice e abbia lunga vita sulla terra. E voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore” (Efesini 6:24). Giovanni, riferendosi più esplicitamente al rapporto tra i credenti con diverse età nel cammino della fede. “Padri, vi scrivo perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Giovani, vi scrivo perché avete vinto il maligno. Giovani, vi ho scritto perché avete conosciuto il Padre. Padri, vi ho scritto perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Giovani, vi ho scritto perché siete forti, e la parola di Dio rimane in voi, e avete vinto il maligno” (1Giovanni, 2:13-14).

e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra
Forse perché chi sta in alto domina chi sta più in basso, in ebraico la parola “dominio” (radah רָדָה) ha una radice molto vicina al verbo che si usa per descrivere l’azione di “discendere” (yarad יָרַד). La discesa dell’uomo dagli altri animali sostenuta dalle teorie evoluzioniste viene anticipatamente rovesciata dalla discesa dell’uomo sugli altri animali annunciata dalla parola di Dio. L’uomo, proprio perché è il più indifeso di tutti gli animali, è portato in alto, al sicuro da tutte le minacce e da tutti gli attacchi delle bestie feroci.
Nella creazione l’uomo arriva per ultimo, ma nel disegno di Dio è in realtà stato formato per primo, quando ancora non c’erano neanche le piante (Genesi, 2:5-7). L’uomo, come poi Israele (Deuteronomio 7:7), è amato da Dio non per la sua forza o per la sua grandezza, ma per la comunione che può avere con lui, partecipando lo stesso desiderio di fare del bene e prendersi cura degli altri.
Come Dio domina l’intero universo, così all’uomo è dato di dominare sugli altri animali. Se consideriamo la maestosa potenza degli elefanti o delle balene, la forza delle tigri, dei cobra o degli squali, l’agilità delle scimmie, la capacità di librarsi in alto delle aquile o anche solo delle rondini, la laboriosità delle api o delle formiche, possiamo anche dubitare di questo dominio. Ma il dominio sugli animali ha un significa innanzitutto spirituale. Si riferisce al dominio dell’uomo spirituale su quello naturale. È all’uomo spirituale che è dato di giudicare ogni cosa (1Corinzi, 2:15).
Gli animali vedono, sentono, nuotano, si arrampicano, corrono molto meglio di noi, per non parlare del fatto che alcuni di loro possono anche volare.. Queste cose però non li rendono superiori all’uomo, proprio perché non sono il corpo o l’anima ad essere destinati a dominare sullo spirito, ma viceversa, perché ci sia ordine e vita è lo spirito che deve avere il controllo.
È l’amore per la verità di Dio che rende l’uomo superiore agli altri animali e questo amore è solo lo spirito che lo può sentire. “Infatti ciò che brama la carne [cioè l’anima e il corpo dell’uomo naturale] è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo” (Romani, 8:7). “L’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché queste cose sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente” (1Corinzi, 2:14). Parlando di Cristo, “l’ultimo Adamo, che è spirito vivificante” (1Corinzi, 15:45), Paolo scrive “poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra (…); tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Colossesi, 1:16).“Tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Romani, 8:28-29). Dio ci ha predestinati a essere secondo la sua immagine, ci ha cioè preposto dei limiti (questo è il significato del verbo greco tradotto con le voci di predestinare: pro-orizo προορίζω un verbo che ha la stessa radice contenuta nella parola orizzonte). Per indirizzare un cammino è necessario fissare dei limiti. Dio ha preparato una via stretta (Matteo, 7:14), ma aperta (Ebrei, 10:20) e sicura (Isaia, 35:8-9) perché fossimo formati e raggiungessimo “l’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, [arrivando] allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini, 4:13). Questa via può essere percorsa in un verso o nell’altro: nella direzione di una maggiore comodità, autonomia, libertà d’azione per fare quello che più ci piace, oppure. affrontando le difficoltà con le quali veniamo modellati verso la somiglianza con Dio in Cristo.
Cristo, traslitterazione della traduzione greca dell’ebraico mashyiach מָּשִׁיחַ, significa in sostanza “unto”. In Israele venivano unti i sacerdoti, i profeti e i re. E Gesù, profeta per eccellenza e sacerdote secondo l’ordine di Melchizedek (Ebrei, 5:10), ha dichiarato di essere nato per essere re e rendere testimonianza della verità (Giovanni, 18:37). Re, secondo la definizione di Salomone è colui il cui cuore “nella mano del SIGNORE, è come un corso d’acqua. Egli lo dirige dovunque gli piace” (Proverbi, 21:1). Secondo la parola di Dio, un re è quindi tale non in base alle cose che ha la licenza di fare, ma al contrario in base a quelle che non fa, perché si lascia guidare da Dio e vuole seguire il suo esempio, per essere a sua volta d’esempio per i suoi fratelli. “Chi è cieco, se non il mio servo, e sordo come il messaggero inviato da me? Chi è cieco come colui che è mio amico, cieco come il servo del SIGNORE? Tu hai visto molte cose, ma non vi hai posto mente; gli orecchi erano aperti, ma non hai udito nulla” (Isaia, 42, 19-20).
Seguiamo l’esempio di Cristo quando ci impegniamo a non lasciare operare il corpo secondo i desideri dell’anima, ma seguiamo piuttosto i desideri dello spirito, che sono per la vita e la pace (Romani, 8:6). “Perché se vivete secondo la carne voi morirete; ma se, mediante lo Spirito, fate morire le opere del corpo, voi vivrete” (Romani, 8:13). Infatti “le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge, e altre simili cose; circa le quali […] vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio” (Galati, 5:19-21).
La predestinazione a prendere l’immagine di Dio richiede quindi un impegno da parte nostra per rispondere alla chiamata di Dio, rinunciando a vivere per godere di questa vita. “Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” (Giovanni, 12:25). La vita eterna è conoscere Dio (Giovanni, 17:3). “Il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna” (1Giovanni 5:20).
Vita eterna significa libertà dall’inganno delle ricchezze, del potere, dei piaceri di questa vita, per avere la mente rivolta alle cose che sono in cielo e vivere in vista di quelle cose (Colossesi, 3:1-2). Il dominio dato all’uomo sulla terra e su tutti gli animali che sono sulla terra non è quindi per sfruttarli a nostro vantaggio, ma perché le creature più forti servano quelle più deboli e l’autorità sia data non a chi ha forza e potere di costringere, ma piuttosto a chi ha rinunciato a esercitare ogni forza e ogni costrizione.
Per questo il comportamento del vero amore è descritto in termini soprattutto negativi. “L’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia…” (1Corinzi, 13:5-6). Per essere a immagine e somiglianza di Dio e dominare sul resto del creato, dobbiamo innanzitutto esercitare dominio e autorità su noi stessi, evitando di fare quello che la nostra carne ci porta naturalmente a fare.
Quando Caino ha cominciato a invidiare suo fratello Abele, il Signore gli ha detto: “Perché sei irritato e perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!” (Genesi, 4:6-7). Il peccato è come un animale in agguato, ma se crediamo alla parola di Dio riceviamo autorità di dominare sulla nostra natura animale. Perché a tutti quelli che hanno ricevuto la parola di Dio è stata dato il diritto (la parola greca exousìa è in questo caso meglio tradotta con autorità) di diventare figli di Dio (Giovanni, 1:12).

Dio creò l’uomo a sua immagine
La creazione si ferma all’immagine, la somiglianza verrà con il compimento dell’opera di formazione dell’uomo, di cui ci parla tutto il resto della Bibbia, la cui narrazione comincia con il secondo capitolo della Genesi e si conclude con l’Apocalisse. A formare l’uomo è sempre lo stesso Dio (Elohyim) che lo ha creato, perché c’è un solo Dio e un solo Signore (Deuteronomio, 6:4; 1Corinzi, 8:6), ma per la formazione dell’uomo la Bibbia ce lo presenta come SIGNORE, in ebraico YHWH. Il senso  di questo nome come “Colui che è” viene rivelato solo a Mosè (Esodo, 6:3), dopo la formazione del popolo di Israele attraverso il quale Dio ha scelto di rivelarsi agli uomini in Cristo Gesù. È Gesù che ce lo ha fatto conoscere a prezzo della sua stessa vita “In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono” (Giovanni, 8:58).
Siamo stati creati a immagine di Dio, abbiamo cioè la possibilità di assomigliargli. Possiamo però anche allontanarci dal nostro modello. In altre parole, Dio ci ha creato a sua immagine, ma poi sta a noi impegnarci attivamente nel lasciarci formare a sua somiglianza. Per questo Dio si presenta al suo popolo come “il SIGNORE, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele!”. Giacobbe è il nome che aveva Israele prima del suo incontro e della sua lotta con Dio. Attraverso le varie difficoltà della loro vita (in ebraico, la radice del verbo “formare”– yatzar יָצַר  contiene anche il senso di “distretta, difficoltà”), gli uomini che cercano Dio, se perseverano nella fede, vengono anche formati a somiglianza di Dio. Ma tutto questo richiede un lungo processo. Anche Gesù “benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì” (Ebrei, 5:8).
Per quanto creati a immagine del Padre che è nei cieli, siamo pur sempre fatti di terra (come è sottolineato in Genesi, 2:7 e 3:19, Adam אָדָם viene da adamah אֲדָמָה, che in ebraico significa precisamente “terra”, nel senso del materiale di cui è fatto il suolo). Dobbiamo quindi scegliere noi qual è la parte che ci interessa. Possiamo chiedere al cielo che nella nostra terra venga il suo regno e sia fatta la sua volontà (Matteo, 6:9). Ma possiamo anche rivolgere il nostro sguardo alle cose che sono sulla terra e trascurare il cielo, lasciandolo “ai passeri”. Come fin dal principio hanno fatto anche gli stessi figli di Dio, dimenticando la loro chiamata e la loro responsabilità. Infatti prima del diluvio “avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte” (Genesi, 6:2). Fu allora che, per cancellare la corruzione del genere umano, Dio distrusse tutta la terra. Gesù ha detto che sarà così anche negli ultimi giorni. “Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e la gente non si accorse di nulla finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo” (Matteo, 24:37-39).
Ma, fin dal principio, è rimasto anche un residuo, per quanto apparentemente insignificante e perseguitato, capace di resistere e di portare avanti la testimonianza del regno di Dio. Dopo Noè, Abraamo, poi Israele, Mosè, Davide, Elia e tutti quelli che non si sono piegati a servire la carne, ma hanno risposto alla chiamata di Dio per essere formati secondo la sua somiglianza.

lo creò a immagine di Dio, li creò maschio e femmina.
Adam la parola ebraica che traduciamo con uomo, si riferisce (come per altro il greco ànthropos ἄνθρωπος) all’uomo come specie, comprendendo cioè sia il maschio che la femmina.
Anche la maggior parte degli altri animali, per riprodursi, sono stati creati maschio e femmina. Per l’uomo però questa specificazione ha un valore aggiuntivo, perché è espressamente collegata al fatto di essere stati creati a immagine di Dio. Prima di dire che Dio creò gli uomini (‘otàm אֹתָֽם accusativo del pronome personale di terza persona plurale) maschio e femmina (zakhar u-nekevah זָכָר וּנְקֵבָה) è riaffermato per la seconda volta che Dio creò l’uomo (‘otò אֹתֹו , terza persona singolare) a sua immagine.
Il fatto che fossero maschi e femmina assume quindi un senso profondo, che l’ebraico ci aiuta a cogliere: il termine originale per “maschio” (zakhar זָכָר) ha infatti la stessa radice del verbo che significa “ricordare”. La parola per “femmina” ha invece la radice di “incidere, trafiggere, bucare” (naqav נָקַב).

Se ci riflettiamo, vediamo che queste parole, più che a delle differenze anatomiche, si riferiscono a due aspetti fondamentali della natura umana, perché sono due fondamentali aspetti anche di quella divina.
Il ricordo ha a che fare con la coscienza. Ci ricordiamo le cose di cui ci siamo accorti. Di fatto solo le azioni che compiamo coscientemente sono azioni in senso proprio e possono entrare nel ricordo di quello che è stato fatto dal soggetto che le ha compiute o di coloro che le hanno riconosciute e attribuite ad altri soggetti. Ma il ricordo ha anche a che fare con l’insensibilità, perché deve essere in qualche modo impermeabile alla sensazione, che normalmente lo cancella. Per ricordare bisogna non lasciarsi travolgere dalle sensazioni e dalle emozioni del presente. La forza dell’uomo sta nella sua fedeltà a Dio e nel riporre in lui ogni speranza (Isaia, 30:15 e 40:31), nella capacità cioè di astrarsi da ciò che si vede e si sente per guardare a ciò che è eterno e non può essere visto. La nostra sensibilità è ciò che ci rende deboli, ma è d’altra parte anche ciò che ci rende capaci di riconoscere la debolezza degli altri e di averne compassione. Se non è accompagnata dalla compassione, anche la fedeltà a Dio può portarci lontano dalla verità e dalla volontà del nostro Creatore (Giovanni, 8:3-11).
Siamo a immagine di Dio perché abbiamo questa doppia natura: per conoscere i bisogni del corpo siamo in grado di venire impressionati con forza e precisione dalla realtà che ci circonda, ma siamo contemporaneamente anche capaci di astrarci dalle nostre sensazioni, per essere fedeli alle parole dette e ascoltate nel passato. Così anche Dio, che conosce ogni cosa – persino i capelli che abbiamo o non abbiamo più in testa (Matteo, 10.30) – ma non si lascia distrarre da quello che vede o sente (Isaia, 42:20).
Come Dio e come gli angeli, l’uomo, anche se in misura molto inferiore, può superare gli ostacoli e le distrazioni che si frappongono all’adempimento del suo compito. D’altra parte, come Dio ha fatto in Cristo e nei suoi martiri (e come gli angeli non possono fare), l’uomo può anche essere trafitto, spargendo il proprio sangue fino a morire. Questa nostra fragilità è ciò che ci rende immensamente preziosi agli occhi di Dio. “È preziosa agli occhi del SIGNORE la morte dei suoi diletti” (Salmi, 116:15).
A sua madre, che gli faceva presente il bisogno dei loro ospiti, Gesù ha risposto “che c’è fra me e te, donna?” (Giovanni, 2:4). Ma, come Maria sapeva bene che sarebbe successo, Gesù non è comunque rimasto insensibile alla difficoltà di quegli amici che li avevano invitati alle nozze.
Per “essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote”, Cristo ha infatti partecipato della nostra carne e del nostro sangue (Ebrei, 2:14-17), soffrendo più di tutti noi. Mentre soffriva sulla croce, ha incaricato Giovanni di prendersi cura di Maria come se fosse stato il suo proprio figlio (Giovanni, 19:27), perché, come preannunciato dal profeta Simeone, una spada le aveva trafitta l’anima (Luca, 2:34). Poco prima aveva per altro affidato a sua madre Giovanni, appunto perché la donna sa prendersi cura dei bisogni dell’uomo (innanzitutto del nutrimento e degli abiti). Così come l’uomo può proteggerla, se ha rispetto della sua fragilità.
Questa unità, che nella gravidanza e nel matrimonio arrivano fino alla fusione di due individui in una stessa carne, si esprime nella vita del credente come la massima somiglianza della vita di Dio.
Per questa ragione ci è detto di onorare il matrimonio (Ebrei, 13:4). “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d’altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama se stesso; e altresì la moglie rispetti il marito” (Efesini, 5:22-33).
Forza e sensibilità si incontrano in Cristo, e devono incontrarsi anche nei cristiani. “Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite” (1Pietro, 3:7).
La capacità di resistere alle distrazioni si deve quindi accompagnare nel cristiano al rispetto per la fragilità e alla compassione per la sofferenza altrui, perché questo è l’esempio che abbiamo ricevuto in Cristo. Colui che è stato chiamato “il leone della tribù di Giuda” è anche “l’agnello che è stato immolato” (Apocalisse, 5:12), l’uomo indifeso ed esposto al ludibrio della gente, il cui costato è stato forato (Giovanni, 19:34-37).
L’immagine di Dio è insomma completa nel figlio di Dio che è anche figlio dell’uomo, perché in lui non ci sono parzialità, o differenze di razza, o di ceto sociale, ed è anche scritto che in lui “non c’è né maschio, né femmina”, ma che in Cristo Gesù siamo tutti uno (Galati, 3:28). Cioè, da soli, individualmente, nessuno di noi può dire di essere completo, ma assieme, come padri e come madri, come fratelli e come sorelle, come mariti e come mogli, formiamo il corpo di Cristo, e soltanto Cristo è l’immagine di Dio (1Corinzi, 12:27, 2Corinzi, 4:4).
Quindi non è che i maschi debbano vivere come femmine (è anzi scritto che gli effeminati non erediteranno il regno dei cieli, 1Corinzi, 6:9) o che le femmine debbano comandare sui maschi (tutt’al contrario, cf. 1Timoteo, 2:12). Dobbiamo piuttosto comprendere che la natura eterna di Dio non gli impedisce di sentire il grido del suo popolo, come YHWH ha fatto sapere a Mosè quando gli si è rivelato nel pruno ardente come Colui che era e che sarà sempre lo stesso. E che l’Onnipotente si è fatto debole e povero per noi, venendo a nascere in una famiglia del popolo (in viaggio, per di più), esponendosi fin da piccolo al rischio di essere ucciso e vivendo tutta la vita nella fragilità di un corpo umano, “per simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato” (Ebrei, 4:15). Anche Paolo ci raccomanda: “abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili” (Romani, 12:16).


Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta
Sono parole simili a quelle che Dio aveva rivolto agli animali acquatici, ma con alcune importanti differenze. Non solo in questo caso l’ordine di riempire il proprio ambiente si riferisce alla terra e non più ai mari o al cielo, ma si aggiunge qui anche l’ordine di sottomettere il proprio ambiente, che non era stato dato né alle creature marine né ai volatili.
Un’altra importante, anche se meno appariscente differenza è che, mentre nel quinto giorno l’ordine era impartito a moltissime specie di diverse classi di animali, qui Dio sta parlando alla sola specie uomo.
Il mare non poteva essere assoggettato, perché rimane per la massima parte immerso nelle tenebre. La terra invece è la parte della crosta terrestre che è venuta alla luce ed è lì che l’ordine di Dio può, e quindi deve, regnare incontrastato (abbiamo già visto che nella nuova terra il mare non ci sarà più, Apocalisse 21:1).

dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra
Dio ci ha dato di dominare sulle bestie che vengono dal mare e su quelle che vengono dalla terra. Anche su quelle che verranno per dominare il mondo. Per un tempo a queste bestie sarà dato di fare guerra ai santi e anche di vincerli (Daniele, 7:21 e Apocalisse, 13:7), ma il sangue dell’Agnello e la parola della testimonianza avranno alla fine il sopravvento (Apocalisse, 12:11). Non solo sulla creazione del quinto giorno, ma anche su tutto quello che aveva preceduto l’uomo in questo sesto e conclusivo giorno dell’opera di Dio.
“Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male” (Luca 10:19). “Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi” (Genesi, 3:1) e ha fatto sì che l’uomo perdesse autorità e vita. Ma il piano e la parola di Dio non può venir meno. E così oggi in Cristo non solo abbiamo autorità sugli animali, come pescatori o cacciatori, ma abbiamo ricevuto tutta l’autorità di Dio sulla creazione, su tutti i viventi. Non come esseri naturali per sfruttarli nel nostro egoismo, ma in Cristo, figlio di Adamo e figlio di Dio. Scrive infatti Paolo “Avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini, 4: 22-24).

Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento.
Il terzo giorno Dio aveva già preparato il cibo per l’uomo. Prima dell’uomo, se ne erano nutriti gli uccelli del cielo e gli animali della terra, ma l’ultimo destinatario, il primo pensiero di Dio, era in realtà l’uomo.
Come abbiamo osservato a proposito di Genesi 1:11, questi semi e questo frutto sono l’aspetto sensibile della parola e dell’amore di Dio. La Bibbia ci dice infatti espressamente “che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del SIGNORE” (Deuteronomio, 8:3; Matteo, 4:4).

A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento. E così fu.
Originariamente, quindi, gli animali della terra non sono stati creati per mangiarsi gli uni gli altri, come invece devono fare quelli che vivono in mare. Dopo la cacciata dell’uomo dall’Eden e sicuramente dopo il diluvio sono cambiate le abitudini alimentari di molti animali, e anche le nostre (Genesi, 9:3). “Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio” (Romani, 8:22). Ma anche oggi, sulla terra, tutta la vita si basa sui vegetali. Certamente lo stesso accade anche in mare, dove però i vegetali sono per lo più microscopici e praticamente tutta la macrofauna è carnivora, mentre in terra gli animali più potenti, come il bufalo e gli elefanti, sono tuttora erbivori.
Secondo quello che ci rivela il profeta Isaia, le cose torneranno a cambiare. “Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue” (Isa 11:6-7).
Nella nuova creazione torneremo tutti a nutrirci del frutto dell’albero della vita, che è la conoscenza di Dio. “Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente. Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo, poiché la conoscenza del SIGNORE riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare” (Isaia, 11:8-9).
Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.
Mentre tutto quello che era stato fatto fino ad allora era ripetutamente stato dichiarato “buono” (tov), dopo aver creato l’uomo Dio vede ciò che ha fatto e lo dichiara “molto buono” (tov me’od). Un apprezzamento che non deve rimanere in una sola direzione, perché Dio ha stabilito che l’uomo ricambierà questo suo superlativo. “Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze” (Deuteronomio, 6:5). Con tutte le tue forze traduce infatti l’ebraico me’odekha, che letteralmente significa “con il tuo molto”.
Rispondendo all’amore di Dio l’uomo entra nella luce della sua presenza. Se la luce è buona, quando l’uomo riconosce la bontà di Dio la luce stessa prende vita. “Perché il Dio che disse: Splenda la luce fra le tenebre, è quello che risplendette nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo.” (2Corinzi, 4:6). È “il figlio dell’uomo” che ha detto di se stesso “io sono la luce del mondo” (Giovanni, 8:12), perché è venuto a farci conoscere il nome di Dio perché anche noi potessimo dire con tutto Israele che Il SIGNORE è buono e amarlo di cuore “con il nostro molto”.
Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno.
Questa è la sesta e definitiva vittoria della luce sulle tenebre. Con l’uomo la creazione può essere compiuta e le tenebre possono definitivamente sparire. È in vista del figlio dell’uomo che sono state fatte tutte le cose (Colossesi, 1:15-16). Anche gli scienziati che non riconoscono l’autorità della Bibbia devono riconoscere che l’uomo è arrivato solo alla fine di un lungo processo, anche se cercano di spiegare questo processo in termini soltanto materiali, chiamandolo evoluzione.
Dalla comparsa dell’uomo come lo conosciamo (Homo sapiens) passa poi, sia per la scienza che per la Bibbia, un tempo dell’ordine delle migliaia di anni fino a che si giunga alla sua maturità, come la troviamo perfettamente realizzata in Gesù Cristo. Nessuno può negare la perfetta umanità delle parole e delle azioni di Gesù. Anche le guardie dei sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, mandate una prima volta ad arrestarlo, dovettero dire di lui “nessuno parlò mai come quest’uomo!” (Giovanni, 7:46).
L’immagine e la piena somiglianza con Dio sono compiute in Cristo. Per questo Paolo lo chiama “ultimo Adamo” (1Corinzi, 15:45). I cristiani però sono sempre stati e sono ancora complessivamente ancora ben lontani dalla statura spirituale di Cristo. Il processo di preparazione della Chiesa è ancora in corso. Lo stesso accade individualmente in coloro che credono. Perché il carattere di Cristo sia formato in ciascuno ci vuole molto tempo (Galati, 4:19). Ma intanto il processo è iniziato e un giorno sarà completato. Come scrive Paolo riguardo ai credenti di Filippi: “E ho questa fiducia: che Colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi, 1:6).
Ci troviamo insomma ancora dentro il sesto giorno, il giorno dell’uomo. Per molti versi il numero sei è un numero collegato all’uomo e descrive la sua situazione e le possibilità del suo destino, della scelta, cioè, che l’uomo deve compiere ogni giorno della sua vita tra il naturale e lo spirituale, tra l’animale e il divino.
666 è chiamato “numero d’uomo” (Apocalisse, 13:18), ma è anche e innanzitutto “il numero della bestia”. Quando l’uomo, rifiutando il consiglio di Dio, che ha detto che “per l’uomo non è bene stare da solo” (Genesi, 2:18), e affermando ostinatamente se stesso, vuole rimanere da solo “si oppone a tutto ciò che è bene” (Proverbi, 18:1), perde l’ospitalità e la gentilezza che lo rendono uomo e si trasforma in una bestia. Il numero 666 tra le altre cose esprime anche la gerarchia dell’esercito, dove l’uomo, da solo, si mette a capo di decine e centinaia, per formare una macchina di guerra: per uccidere, rubare e distruggere come il Nemico di cui si rende così efficace strumento.
Quando l’uomo invece accetta il consiglio di Dio e si moltiplica per due, il sei diventa dodici, quante erano le tribù di Israele, e anche i primi apostoli della Chiesa. Anche nella Gerusalemme celeste, attorno al trono di Dio, siedono 24 anziani (Apocalisse, 4:4) e il numero dei servi di Dio in cielo – 144000- contiene il quadrato di 12 moltiplicato per mille.

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