Recuperare il tempo perduto. Prima parte

Guadagnare tempo

Scrive Paolo ai credenti di Efeso: “State quindi molto attenti a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; recuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di  capire bene quale sia la volontà del Signore. Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza” (Efesini, 5:15-18). Qui – e in Colossesi 4:5 (“Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo”) – l’apostolo usa un’espressione idiomatica che appare una volta anche nella versione greca delle Sacre Scritture ebraiche (la Versione dei Settanta, nota anche come Septuaginta, che è stata realizzata in epoca ellenistica). L’espressione viene usata per rendere le parole del re Nabucodonosor ai maghi e ai sapienti di corte, ai quali aveva ordinato di fornirgli non solo l’interpretazione di un sogno che aveva fatto, ma anche il sogno stesso, che non aveva rivelato a nessuno di loro (e che Daniele gli racconterà e gli interpreterà per rivelazione divina). Siccome i maghi, terrorizzati dalla minaccia di morte, avevano chiesto che per favore il re li mettesse in condizioni di fornire l’interpretazione raccontando loro il suo sogno, “il re replicò e disse: Io mi accorgo che voi volete guadagnare tempo, perché avete sentito la decisione che ho preso” (Daniele, 2:8).

Più che di recuperare il tempo l’espressione originale, sia nel greco della Septuaginta che nell’aramaico del testo di Daniele, ha quindi il senso di “guadagnare tempo” o “prendere tempo”. Anche se quella di Nabucodonosor non era proprio un’esortazione come lo sono i passi delle Lettere di Paolo in cui appare questa espressione, il senso dell’uso che ne fa Paolo è ancora quello delle parole di Nabucodonosor: prendere tempo in un momento critico. Anche Paolo fa infatti esplicito riferimento ai tempi difficili in cui stava già vivendo, giorni in cui non ci si poteva già più trastullare con le cose con cui ci si poteva trastullare in epoche precedenti, ma bisognava piuttosto usare tutte le proprie risorse per fare fronte alla situazione.  Scrivendo agli Efesini Paolo si riferisce a una condizione estremamente critica, dice: “i tempi sono malvagi”. In entrambi i contesti di Efesini 5 e Colossesi 4 si parla infatti delle tenebre o in generale del mondo in cui noi discepoli di Cristo siamo chiamati a vivere e a dare testimonianza a quelli che ancora non conoscono Gesù.

La stessa esortazione la troviamo ancora più esplicita nella Prima Lettera di Pietro: “Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche” (1Pietro 4:3). Abbiamo perso ormai troppo tempo, è ora di pensare a come recuperarlo, perché “la fine di tutte le cose è vicina” (1Pietro, 4:7a).

Tempo e denaro

L’espressione greca usata da Paolo e dai Settanta (exagorazein [tòn] kairòn) vuol dire più precisamente “ricomprare il tempo”. Il verbo exagorazein è usato altre volte nelle Lettere di Paolo con il senso di “redimere, riscattare” (in riferimento all’azione compiuta da Gesù quando ci ha riscattato a prezzo del suo sangue). La radice del verbo è direttamente collegata alla compravendita e al mercato. Agorà, in greco, è la piazza.
Non è poi così strano che si parli di denaro in riferimento al tempo. Spesso si dice che il tempo è denaro. E si potrebbe anche dire, ma non lo si sente altrettanto spesso, che il denaro è tempo. Se ci pensiamo, il denaro serve infatti a comprare il tempo degli altri. Quanti più soldi uno ha, tanto più tempo può usare del suo prossimo e, normalmente, tanto più volentieri gli concediamo il nostro tempo. E uno viene tanto più pagato quanto più tempo altrui riesce a impegnare (in termini di ore-uomo). In tutti i sensi: nel mondo dello spettacolo questo è particolarmente evidente (il valore si chiama audience ed è misurato con buona precisione), ma l’equazione vale anche in molti altri contesti. In generale, il valore in denaro corrisponde al valore in termini di tempo che gli uomini attribuiscono a una certa cosa, sia questa un gadget, un utensile, un mezzo di trasporto, una medicina, una droga, un libro, una canzone, o un blog… cioè, curiosamente, sia che questa cosa serva a risparmiare tempo, sia anche che serva a passarlo bene (lo chiamano entertainment). L’equazione tempo=denaro risulta insomma sempre confermata, in entrambe le direzioni. Il rapporto tempo/denaro è la forma astratta del rapporto di lavoro, in cui la maggior parte di noi vendiamo il nostro tempo in cambio del denaro che ci serve a comprare il tempo degli altri.

Il tempo e il denaro sono collegati anche in varie Scritture. Per esempio, il valore di un terreno agricolo in Israele lo si valutava a partire dal numero dei raccolti prima del seguente giubileo (Levitico, 25:15). La stessa cosa vale anche per le persone (il prezzo che bisognava pagare per riscattarle variava a seconda di quanti anni mancavano al giubileo: Levitico, 25:51-52). Sono leggi che servono anche oggi a riflettere sulla nostra condizione. Sappiamo infatti molto bene, anche se ce ne dimentichiamo spesso, che anche il valore del nostro tempo cambia con il passare degli anni, esattamente come continua a cambiare quello del denaro (l’inflazione è in qualche modo una metafora sociale dell’invecchiamento).

Con l’età cambia il nostro stesso rapporto con il tempo. Quando si ha “tutta la vita davanti”, il senso e la velocità del tempo che passa sono molto diversi da quando la nostra vita sta per finire. Eppure, materialmente, è sempre lo stesso tempo. Il valore però non è lo stesso, né oggettivamente, né soggettivamente. Non lo è oggettivamente, perché nello stesso lasso di tempo un giovane riesce a fare molte più cose di un vecchio; né lo è soggettivamente, perché da vecchi il tempo corre, mentre da giovani non passa mai. Il corso tempo cambia anche a seconda di quello che stiamo facendo. “Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli parvero pochi giorni, a causa del suo amore per lei” (Genesi, 29:20). Da una parte non vorremmo che il tempo passasse mai, dall’altra siamo contenti che passi in fretta (anche perché passa in fretta proprio quando siamo contenti). Abbiamo molto paura di perdere i nostri soldi e il nostro tempo, ma alla fine, paradossalmente, quello che ci importa è spendere bene i nostri soldi e far sì che il tempo voli il più rapidamente possibile.

Ebbrezza e sobrietà

Spiegando ai discepoli una delle sue parabole, Gesù, tra le cause di improduttività della parola di Dio seminata nei nostri cuori, menziona “l’inganno delle ricchezze” (Matteo 13:22; Marco, 4:19). Le ricchezze, come anche gli idoli (le immagini in genere), ci ingannano perché appaiono come qualcosa di stabile, mentre sono la cosa più instabile che ci sia. Dice infatti la sapienza: “Non ti affannare per diventare ricco; smetti di applicarvi la tua intelligenza. Vuoi fissare lo sguardo su ciò che scompare? Poiché la ricchezza si fa delle ali, come l’aquila che vola verso il cielo” (Proverbi, 23:4-5). E anche quando riusciamo in qualche modo a fermare la ricchezza perché non voli via (almeno per un po’), certamente non riusciamo a fermare il tempo e a impedire che volino le nostre energie. “La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all’anima mia: Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco in vista di Dio” (Luca, 12:16-21).

Il fatto sta che continuiamo a pensare di avere tutto il tempo davanti, e a considerare nefasta qualsiasi circostanza che ci metta di fronte alla realtà del fatto che invece il tempo a nostra disposizione non è affatto illimitato. Quando non la consideriamo una sciagura (come accade con una grave malattia, o con qualche altra seria minaccia), le attribuiamo comunque nomi poco simpatici, come scadenza, termine, in inglese addirittura deadline, cioè “linea morta”.

In realtà, non ci piace nemmeno avere troppo tempo. Il vuoto ci spaventa un po’. Dopo le sciagure, la cosa che temiamo di più è probabilmente la noia. Forse è una paura che ci siamo portati dietro dall’infanzia, senza renderci conto che la situazione è cambiata, e che continua a cambiare. Se prima c’era troppo tempo e troppe poche cose da fare adesso ci sono troppe cose da fare e troppo poco tempo, sempre di meno. Vale per noi rispetto a qaundo eravamo più giovani, ma vale anche per la situazione odierna dei giovani rispetto a quella della gioventù di una volta. Tutto il mondo sta invecchiando. E il tempo vola sempre più in fretta, per tutti quanti. Un’inflazione generalizzata che sta trasmettendo a tutti una specie di ebbrezza collettiva.

La ricchezza ci dà l’impressione di poter scegliere tra un’infinità di cose da fare. E questo è esattamente quello che desidera la nostra carne. Lo esprime bene il lamento dei figli di Israele alla fine delle loro peregrinazioni nel deserto: “Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto a volontà, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. E ora siamo inariditi; non c’è più nulla! I nostri occhi non vedono altro che questa manna” (Numeri, 11:5-6). Anche oggi il mondo ci presenta una grandissima varietà di beni, a cui è ben difficile rinunciare. Come elenca il lamento dei mercanti alla caduta di Babilonia annunciata nell’Apocalisse: “oro, argento, pietre preziose, perle, lino pregiato, porpora, seta, scarlatto, ogni varietà di legno odoroso, ogni varietà di oggetti d’avorio e di legno preziosissimo, bronzo, ferro, marmo, cannella, spezie, profumi, unguenti, incenso, vino, olio, fior di farina, grano, buoi, pecore, cavalli, carri e persino i corpi e le anime degli uomini” (Apocalisse 18:12-13) E oggi potremmo aggiungere: viaggi e case di vacanza, vestiti e accessori, applicazioni e applicativi, videogiochi e videoclip, cinema e tv, notizie ed enciclopedie, libri e riviste, messaggi e reti sociali, un’infinità di cose che riempiono la nostra vita e ci fanno pensare che ne abbiamo abbastanza per spassarcela ancora un bel po’. In tutta questa abbondanza, la parola di Dio può suonare come una voce lontana che richiama al risveglio, alla quale la nostra coscienza assopita tende a rispondere “lasciami dormire ancora un po’, ancora cinque minuti”. Ma la verità non ci lascia in pace e ci risponde  “Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare… La tua povertà verrà come un ladro, la tua miseria come un uomo armato” (Proverbi, 6:10-11).

Così può anche succedere che a quella voce diciamo proprio “basta” per abbandonarci direttamente e deliberatamente alla condizione di anestesia spirituale che ci procurano le comodità e i piaceri di questo mondo. Ma la parola insiste “Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nel bicchiere e va giù così facilmente! Alla fine, morde come un serpente e punge come una vipera. I tuoi occhi vedranno cose strane, e il tuo cuore farà dei discorsi pazzi. Sarai come chi si coricasse in mezzo al mare, come chi si coricasse in cima a un albero di nave. Dirai: M’hanno picchiato e non m’hanno fatto male; mi hanno percosso e non me ne sono accorto. Quando mi sveglierò? Tornerò a cercarne ancora!” (Proverbi 23:31-35). Volere ancora, sempre di più… Questo è, anche etimologicamente, il senso del termine usato nel Nuovo Testamento per indicare l’avidità: pleonexìa (πλεονεξία), che letteralmente significa proprio “avere di più”. Un desiderio che non viene da Dio, e che cresce in ciò che costituisce il mondo come sistema spirituale, cioè la ribellione della creatura nei confronti del suo Creatore a cui ci ha indotto il nemico delle nostre anime e che ci ha portato alla morte. L’avidità ci tiene spiritualmente lontani da Dio e gli uni dagli altri. E costituzionalmente infelici. “Il soggiorno dei morti e l’abisso sono insaziabili, e insaziabili sono gli occhi degli uomini” (Proverbi, 27:20).

È abbastanza evidente che il mondo sfrutta le debolezze della nostra carne offrendoci innumerevoli modi di passare il nostro tempo, concedendoci una sempre più grande quantità di scelte tra possibili intrattenimenti. Se consideriamo l’evoluzione del business spettacolo (dal teatro al cinema, dalla TV a Youtube, da Facebook alle altre reti sociali come strumenti di passaparola) possiamo forse renderci conto che queste “macchine per buttare via il tempo” siano vere e proprie macchina da guerra (Efesini, 6:12), e che l’inganno principale di questo mondo consiste proprio nel far sì che il tempo sia illusoriamente percepito – soprattutto da parte dei giovani, ma non solo da parte loro – come una risorsa illimitata. Invece di comprendere la verità evidente che il tempo scivola irreparabilmente via (insieme con le nostre energie), e che ogni momento non tornerà mai più, pensiamo appunto al tempo come a una quantità continua, che abbiamo ancora abbondantemente a disposizione. E non ci rendiamo conto del fatto che quando ci regalano spettacoli, informazioni ecc. ci stanno anche derubando del tempo che non abbiamo.

“E come fu ai giorni di Noè, così sarà anche nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si sposavano mogli, sono stati dati in matrimonio , fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e venne il diluvio e li fece perire tutti. Allo stesso modo come lo era anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, hanno costruito; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti” (Luca, 17: 26-29). Gesù non ci parla per descrivere la realtà del mondo, ma perché non ce ne lasciamo travolgere: “Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio; perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra” (Luca, 21:34-35).

Questa montante ebbrezza e questo desiderio di avere sempre di più che sta travolgendo il mondo (e che quindi influenza anche noi che siamo nel mondo) ha insomma una chiara origine spirituale. Dell’avidità Paolo dice infatti “che è idolatria” (Colossesi 3:5). Perché l’oggetto del nostro desiderio diventa per noi più importante di Dio. Come se le cose che i nostri occhi desiderano potessero durare per sempre e noi con loro. Se invece ci lasciamo istruire dall’amore della verità, ci rendiamo un po’ alla volta  conto del fatto che tutte le cose finiscono, e che finiranno presto. Allora e solo allora possiamo diventare moderati e sobri e dedicarci alla preghiera (com’è scritto in 1Pietro 4:7b), per imparare a non vivere più da soli (come accade quando si dorme e si sogna), ma assieme a Dio e al nostro prossimo.

“Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: Pace e sicurezza, allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri;  poiché quelli che dormono, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell’amore e preso per elmo la speranza della salvezza” (1Tessalonicesi, 5:1-6).

 

 

 

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