Esodo, 20:12 Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà.
La quinta parola collega le prime quattro, che ci istruiscono riguardo al nostro rapporto con Dio, con le seguenti, che si riferiscono ai rapporti che intratteniamo con il nostro prossimo. Abbiamo visto come a questi due gruppi di comandamenti (raggruppati tradizionalmente nella prima e nella seconda tavola della Legge) corrisponda anche una divisione tra il primo e il secondo gruppo di richieste nella preghiera al Padre celeste che ci ha insegnato Gesù.
Il regno di Dio, che è stabilito dagli ordini espressi dalle precedenti parole e in particolare dalla quarta parola (la cui venuta è il centro della prima parte delle richieste del “Padre nostro”), non può realizzarsi in una società in cui i rapporti tra gli uomini non sono fondati sull’amore e sul rispetto.
Esodo, 20:8-11 Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al SIGNORE Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.
Il testo ebraico gioca sulla vicinanza tra il nome del “giorno del riposo” (shabath שַׁבָּת), il numerale “settimo” (sheviy’y שְׁבִיעִי), la cui radice ha il senso di “completezza, soddisfazione” e anche “giuramento”, e il verbo che significa “cessare, smettere, desistere” (shavath שָׁבַת).
Il comandamento di santificare il settimo giorno, com’è espresso nel libro dell’Esodo (diversamente dall’enunciazione del Deuteronomio, che insiste sul lasciare riposare anche i propri servi e i propri animali), fa esplicito riferimento al riposo di Dio dopo il compimento della creazione, secondo il testo di Genesi, dove lo stesso gioco di parole appare in forma più completa.
Il passo a cui allude il testo si trova all’inizio del secondo capitolo del libro della Genesi, dove è scritto “Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro. Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno (vayshboth bayom hasheviy’y וַיִּשְׁבֹּת בַּיֹּום הַשְּׁבִיעִי) da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta [mikhol melakhtòasher-ba’rà Elohyim la’asòth, letteralmente: “da tutta l’opera che Dio aveva creato per fare].” (Genesi, 2:2-3).
Nell’enunciazione di questa quarta parola appaiono i due principali termini che si usano in ebraico per parlare del lavoro.
Quando viene comandato di lavorare sei giorni compiendo in essi le nostre opere, il verbo usato nella prima occorrenza del termine nell’originale è ‘avad (עָבַד), una radice molto importante che viene usata per riferirsi in generale al servizio, sia quello a Dio, sia quello a a qualche altro padrone (“schiavitù”).
Mela’khah (מְלָאכָה), il termine che si usa per “lavoro ordinario” è anche quello usato nel passo del secondo capitolo di Genesi che abbiamo appena citato, dove è scritto – traducendo più letteralmente – che il SIGNORE si riposò “da tutta la sua opera” (mikholmela’khto מִכָּל־מְלַאכְתֹּו ). Con questa parola, che ha la stessa radice della parola che significa “angelo” (mala’kh מַלְאָךְ), si intende un’opera che è finalizzata a uno scopo, com’è finalizzato a uno scopo l’incarico di un angelo per una certa missione. Difatti, alla fine del passo, abbiamo letto che il testo dice proprio che l’opera era stata creata “per fare” (Genesi, 2:3).