
Esodo, 20:18-19 Ora tutto il popolo udiva i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante. A tal vista, tremava e stava lontano. E disse a Mosè: Parla tu con noi e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo.
Come un sol uomo, all’udire il suono dei tuoni che si univa a quello dello shofar, e alla vista dei lampi e del fumo in vetta al monte, il popolo di Israele trema (la radice verbale nun+vav+ayin, che ha il senso primario di “oscillare”, ci fa capire che si trattava di qualcosa di più di un intimo tremore: piuttosto di uno sgomento, se non di un vero e proprio scompiglio). È ben felice quindi di delegare a Mosè il compito di interagire con il SIGNORE, per tenersi alla larga dalla presenza di Dio. Nel racconto dello stesso episodio che troviamo in Deuteronomio, l’ultimo libro della Torah, è scritto che il popolo ha esclamato: “abbiamo visto che Dio ha parlato con l’uomo e l’uomo è rimasto vivo. Ma ora perché dovremmo morire? Questo gran fuoco ci consumerà!” (Deuteronomio, 29:24-25).
Poco più avanti, Mosè aggiunge che il SIGNORE ha commentato positivamente questa reazione del popolo, dicendo: “Io ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolto; tutto quello che hanno detto sta bene. Oh, avessero sempre un simile cuore da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, affinché venga del bene a loro e ai loro figli per sempre!” (Deuteronomio, 29:28-29).
Per volontà del popolo e anche di Dio, Mosè con Aaronne e la sua famiglia diventano quindi gli intermediari ufficiali del rapporto (cioè del patto) tra il SIGNORE e Israele. L’autore della Lettera agli Ebrei ci parla di quest’incarico di mediatore tra Dio e il popolo come del “punto essenziale” di tutto il suo discorso (Ebrei, 8:1). E ci ricorda che, nel primo patto, l’Antico Testamento, il sommo sacerdote, che continuava il servizio di mediazione inaugurato da Mosè e da suo fratello Aaronne, era colui che il “giorno dell’espiazione” (Yom Kippur, della quale festa solenne abbiamo già parlato considerando il comandamento di osservare il sabato) entrava nel luogo santissimo per coprire con il sangue di capri e di torelli “i peccati suoi e del popolo” (Ebrei, 9:7; curiosamente, la radice del verbo coprire si è conservata identica a quella del verbo ebraico chaf+pe+resh da cui deriva il nome della festa).
L’idea che non si possa vedere Dio e rimanere in vita è ripresa insistentemente nei libri dell’Antico Testamento, e il timore che deve incuterci la conoscenza del Dio vivente non è attenuato dalle parole che Gesù ci è venuto a dire da parte del Padre, né da quelle degli apostoli.
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