
Insegnaci a pregare
“Padre nostro, che sei nei cieli” (Matteo, 6:9). Così inizia la preghiera che abbiamo imparato da piccoli e che molti di noi sappiamo recitare a memoria.
In realtà, però, Gesù non l’ha insegnata perché la recitassimo, tutt’altro. Fin dal tempo dei profeti la Bibbia ci mette esplicitamente in guardia dal formalismo religioso (“questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me…” Isaia, 29:13), chiarendo ripetutamente che Dio non guarda solo al nostro comportamento, ma anche e soprattutto al nostro cuore.
In particolare, le parole del Padre nostro come sono riportate ne Vangelo secondo Matteo, fanno parte di un lungo insegnamento che Gesù ha dato ai suoi discepoli, nel quale tra l’altro, ha messo in guardia proprio dall’esteriorità del culto e dall’ipocrisia, spiegando che non serve moltiplicare le parole che diciamo al Padre: Dio sa già ogni cosa e non ha bisogno di tanti discorsi. Ed è proprio a questo Padre omniscente che Gesù ci insegna a rivolgerci in questa preghiera.
Nel Vangelo secondo Luca, l’insegnamento della stessa preghiera è inserito in un altro contesto. Segue infatti l’esplicita richiesta dei discepoli di essere ammaestrati riguardo a come pregare: “Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Luca 11:1). Si tratta comunque sempre di un discorso di insegnamento rivolto a persone che hanno lasciato tutto per cercare il Dio vivente e imparare a parlargli e ad ascoltarlo e conoscere così la via, la verità e la vita. Non solo per ottenere da Dio una risposta alle proprie richieste.
La preghiera è il vero cuore del messaggio che Cristo è venuto a portare, e dell’opera che è venuto a compiere, per riaprire una via di comunciazione diretta tra l’uomo e Dio.
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